Avete presente quel leggero senso di inferiorità, di inadeguatezza? Capita quando ti trovi di fronte a chi ha una profondità e una cultura ben più alte della tua. Un’artista che ha molto da raccontare, perché la sua formazione ha basi solide, perché la sua casa musicale è tutto tranne che una palafitta. Incontro Charlotte (Marta Charlotte Ferradini, figlia del più noto Marco, ndr.) e mi sento come il mio amico Renzo Arbore quando parlava di Mariangela Melato: una persona superficiale accanto a chi è sempre capace di approfondire. Questa bella ragazza milanese è una cantautrice purissima, carattere forte, dolce quanto basta e desiderosa di mischiare costantemente la potenza della letteratura alla magia delle sette note. Suona piano e chitarra, molto apprezzata nei circuiti autoriali (Musicultura, Lunezia, Premio Bianca d’Aponte), non disdegna digressioni di genere, anche azzardate (incuriosenti le cover di “Bad Romance” e “Eye of the tiger”). Vorrebbe duettare con Cocciante e Tiziano Ferro, scrivere un pezzo accanto a Jovanotti e Niccolò Fabi: intanto, in camerino, mi fa ascoltare una versione acustica della sua “Martarossa”…
Mi racconti questo recente giro di concerti?
Non ho un album fuori, per cui non è un vero tour. Tramite persone che sono rimaste colpite dal mio modo di fare musica e anche grazie al progetto di papà legato a Herbert Pagani, ho iniziato a fare un po’ di date in giro per l’Italia, a Roma e Terni le ultime avventure sul palco: ho rivisto anche Bungaro, persona che stimo moltissimo e con la quale ho già avuto modo di collaborare.
Ti sei cimentata con vari generi: difficile dare un’etichetta agli artisti, ma oggi come ti definiresti?
E’ giusto che un giovanissimo artista capisca quale genere abbracciare: io ho iniziato come interprete, sono da sempre molto legata alla musica italiana, la adoro! Sarò un po’ demodè, ma ritengo sia giusto valorizzarla, siamo troppo esterofili… Col tempo ho tentato altri esperimenti, come quelli con gli Archimia, escursioni nel blues e nel jazz, in seguito ho deciso di mettermi a scrivere per davvero, da “Oro nero” a “Martarossa”. Sono una cantautrice, i miei testi non strizzano l’occhio al pubblico, amo la letteratura e mi piacerebbe creare canzoni che abbiano testi “letterari”…
Mi spieghi perché su My Space presenti cover di Sting e dei Survivor?
“Fields of Gold” è una canzone che adoro, soprattutto la versione di Eva Cassidy: mi sento molto vicina a lei, al suo modo di essere e di cantare. “Eye of the tiger”, invece, è stato un esperimento costruito con gli Archimia, io c’ho messo dentro quel pizzico di grinta che sul palco, forse, non riesco a buttare fuori, ma migliorerò…
Premio Bianca d’Aponte, quest’anno madrina sarà Paola Turci: ha senso oggi un riconoscimento non legato al genere musicale, ma a quello sessuale…?
Si, ti spiego perché. Credo nella forza artistica delle donne. Per anni la donna non ha avuto la possibilità di esprimersi. Le cantautrici che si sono affermate in Italia saranno oggi pochissime, 5 o 6. Eppure è pieno! A me tante volte dicono: “Sei troppo bella per far la cantautrice“. Se una donna è bella allora sotto non c’è niente, è una bugia… Un premio come questo può avere un peso e un senso: tra l’altro è organizzato benissimo, non esiste una vera competizione, c’è bellissima atmosfera tra le 11 partecipanti…
Lì hai vinto in collaborazione con Bungaro, pregevolissimo autore: con chi ti piacerebbe fare dei brani a quattro mani?
Domanda difficile. Non è facile scrivere a quattro mani, ci vuole un bel feeling. Se dovessi duettare mi piacerebbe avvicinarmi a Massimo Ranieri, Cocciante o Sergio Cammariere. Parlando di scrittura,invece, sono affascinata dal modo di costruire i pezzi che è proprio di gente come Niccolò Fabi, Jovanotti e ci metto pure Zibba, un grande talento che non tutti conoscono, ma davvero notevole.
Siamo in pieno clima “The Voice“, lo hai seguito? In genere cosa pensi dei Talent canori?
Non sono contraria a priori a questi “fenomeni”, conosco anche chi è entrato lì e so anche come sono usciti (ride). Scherzi a parte: su 20 o 30, solo uno esce per davvero. Adoro Mengoni, ha una vocalità pazzesca, ma al suo cospetto ci vorrebbe uno come Gualazzi, che senza la Caselli non avrebbe trovato spazio. “The Voice” dà attenzione alla vocalità, è un passo avanti molto interessante, lì è entrata Alessandra Parisi, un’amica che ha vinto il Premio De Andrè. Io, fossi stata alle audizioni, avrei scelto Riccardo Cocciante: una volta lo incontrai con mio papà, mi fece subito impazzire!
Hanno detto di te che hai una voce rotonda? Cosa vuol dire dal tuo punto di vista?
Oddio! Chi l’ha detto!? (ride). Una voce calda, accogliente. Sembro quasi un uomo, quando parlo ho il timbro di voce molto basso, poi canto e si alza un po’. La mia non è una voce rock, non spara, ma racconta, credo sia più avvolgente.
Cosa ti ha insegnato tuo padre e cos’è che proprio vi allontana, musicalmente parlando?
Mi ha trasmesso l’amore per la musica. Tecnicamente lui è tenore spinto, arriva molto più in alto. Altre differenze? Beh, differenza di genere: lui scrive da “uomo”, è poetico, ma molto diretto. I miei testi sono più letterari, ermetici a tratti, avrai capito che sono un’appassionata della parola: tempo fa ho letto una frase di Jack Kerouac e sopra ci ho costruito un pezzo. Mi soffermo molto su questo tipo di “immagini”…
Preferisci cantare in italiano o in inglese?
Risposta scontata! Andiamo oltre, parliamo di Talent Show: secondo me è lì che si capisce se uno è bravo davvero, quando canta in italiano, perché il pubblico comprende meglio quello che trasmetti, quello che comunichi. Molti “cadono” sulla lingua italiana, Elisa e Malika sono state perfette in questo passaggio, bravissime in entrambi i casi, altri molto meno.
Hai detto: “L’amore è il mio cubo di Rubik”: approfondiamo?
Mi tocca citare una mia canzone: “Le rose che ho cresciuto insieme a te“. Durante i concerti mi dicono che è parecchio toccante, riguarda una storia finita, un rapporto che mi ha segnato profondamente. Ricordo un risveglio all’alba, ero presa dai fantasmi della notte (!), l’ho scritta di getto, senza pensarci troppo. Sai cos’è? In amore ci si sceglie, è un attimo improvviso che ti scuote. Anche nei sentimenti bisogna puntare in alto, essere umili e empatici.
(foto by Facebook)
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