Era il 1992 ed io stavo per diventare un sanremologo. Un piccolo mostro, insomma, che si cibava di Roxy Bar, Dj Television e Baudopippo. Dieta a base di Baudo, oh mamma… Quell’anno al Festival fecero notizia gli Aeroplanitaliani: “..e allora zitti zitti, non riflettere non discutere, ma sentire col cuore buttarsi a capofitto, e allora zitti zitti, dritti verso il centro, non fuori ma dentro, non rumore ma silenzio…“. Questi cinque trentenni capitanati dal nostro Alessio Bertallot rimasero 30 secondi in silenzio durante l’esecuzione del brano “Zitti zitti (Il silenzio è d’oro)”, con cui vinsero il Premio della critica. La sua nuova perla radiofonica si chiama RaiTunes, in onda dal lunedì al venerdì su Radio 2 Rai, dalle 22:30 a mezzanotte. Conversare con Alessio è quasi spiazzante, ne ha cento da raccontare e mille da insegnare: mi racconta le origini del rap in Italia, mi fa pensare d’essere arrivato prima di Benigni a scoprire le potenzialità della Divina Commedia e mi svela un retroscena molto British…
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Sanremo: 20 anni per “La solitudine” della Pausini, 21 per “Zitti zitti” e gli Aeroplanitaliani: che ricordi hai?
Sanremo è sempre stato un mezzo, più che uno strumento o un Festival di canzoni. Un mezzo potentissimo, sempre più amplificato dal progresso dei media. Fondamentale per un artista che vuole promuoversi con buoni contenuti, un palcoscenico che può fare la differenza: per noi lo ha fatto nel 1992. La verità è che lì devi fare tutto contro tutti, perché a Sanremo impera un’omologazione delle idee e dei contenuti. Se hai un’idea diversa devi curarla dalla A alla Z e farlo di persona, avere gli attributi per andare avanti…
Primissimi anni ’90: c’eravate voi e Frankie Hi-Nrg, un rappare pensato e pensante… Eravate gli unici in italia a dire certe cose attraverso la musica?
C’era poca roba, verissimo. Ho scritto il mio primo rap in italiano nel 1982, ispirato dai Sugarhill Gang (Rapper’s Delight, 1979). Ebbi una folgorazione, li vidi su Rai Uno, era di domenica. Volevo provare a fare qualcosa di simile, ma in italiano: così trasportai il Manzoni su una ritmica dance: “Soffermàti sull’arida sponda, vòlti i guardi al varcato Ticino, tutti assorti nel novo destino, certi in cor dell’antica virtù…“. La metrica si prestava perfettamente a questo esperimento. In Italia l’industria discografica arrivò con circa 10 anni di ritardo…
Parliamo di quei 30 secondi di silenzio sul palco dell’Ariston: Baudo come la prese?
Beh, lui si risentì un po’ del fatto che non facemmo nessuna intervista, con nessuno. Pensa un po’, andare a Sanremo e non parlare! Oggi ti massacrerebbero, dal pubblico ai media. Eppure la rassegna stampa dell’epoca faceva paura (e invidia) ai vincitori, gente come Barbarossa, Aleandro Baldi, Masini, Mia Martini, Vallesi.
“Non riempire, ma levare”, questo il succo di quei 30 secondi. Oggi ci vorrebbe questo, siamo sepolti da parole, informazioni, c’è veramente troppa roba, quando invece bisognerebbe creare dei vuoti, selezionare, ripartire, levando e non aggiungendo…
Nella tua carriera da musicista e Dj hai sempre dato molto peso alla musica “alternativa”. Adesso sei impegnato su Radio 2 Rai, con RaiTunes, un programma brillantissimo, una perla rara… Parliamo un po’ di elettronica mischiata al pop, oggi va di moda…
Grazie per i complimenti: provo a fare una radio d’avanguardia, una radio 2.0! Sai, io sono convinto che ascoltare le evoluzioni della musica, dall’elettronica al dubstep passando per la black music e il nuovo soul, aiuti a osservare meglio i cambiamenti della società. Nello specifico, l’elettronica applicata al pop non più una novità assoluta. Pensa a Emeli Sandè, al pezzo intitolato “Heaven”, un pop che si rifà a un modo di far la musica dei primi ’90, già rivoluzionario, in particolare ai Massive Attack. In Italia penso ad “Anima Latina” di Battisti: un disco elettronico, ma non più di tanto. Di Lucio mi viene in mente, invece, “Il veliero”, un brano del ’76, erano anni in cui cercava una forma di ibridazione con la musica dance. Voleva uscire fuori dal seminato italiano, sperimentare alcune commistioni, così come in “Una donna per amico, anche quello un brano dance, se vogliamo…
Almamegretta, Sanremo, Cappotto di legno: a modo tuo c’entri in questa storia, ne parliamo?
“Cappotto di legno” era un gran pezzo, cantato da Raiz e scritto da Lucariello, difficile separare gli Alma dalla storia di Raiz. Loro fanno parte di quella storia rap di cui parlavamo all’inizio: sono venuti fuori dallo stesso nostro humus culturale. Un po’ come gli stessi 99 Posse, o i Casino Royale che, dal reggae approdarono a un genere più “inglese”. Cappotto è stato impreziosito da Ezio Bosso, compositore e direttore eccellente, uno che lavora tantissimo all’estero, valore sproporzionato per l’Italia, molti ancora non se ne rendono conto! Ad esempio, ascoltiamo la colonna sonora de “Io non ho paura” (Gabriele Salvatores, ndr), roba da pelle d’oca…
X-Factor, Amici, adesso The Voice: dimmi la tua sui Talent Show…
Questi eventi non riguardano la musica, la musica è “fumo negli occhi”, in realtà sono tutti giganteschi spettacoli televisivi. D’altra parte chi mette i soldi, chi fa la regia di questi show, deve garantire un successo di ascolti. Lì entra in gioco l’essere telegenici, televisivi, adatti al piccolo schermo. La voce, spesso, va in secondo piano…
A teatro hai portato “Disco Inferno”: viaggio all’Inferno di Dante, ne parliamo?
Con me c’era la bravissima attrice, Lucilla Giagnoni. Era un’idea popolare, la stessa Divina Commedia è un’opera popolare. Il nostro un viaggio all’interno di alcuni passi dell’Inferno, circostanziati storicamente e raccontati quasi filosoficamente. Pensa, l’abbiamo fatto anche nelle scuole, una delle cose più pop del mondo, tutt’altro che elitario! La tecnica del Dj interagiva con il testo, in maniera misurata, facendo una sorta di soundtrack al recitato. Il tutto sempre, rigorosamente, a tema: per il Conte Ugolino, ad esempio, optai per la musica Dark Trip-hop, i Left…
Domanda finale: Alessio Bertallot adora le facciate B (B-Side mica a caso!), quali sono le tue hit più banalmente “commerciali”?
Ah! (ride) C’è l’imbarazzo della scelta. Adesso ho in mano un disco di Crosby, Stills, Nash & Young. Mi vengono in mente anche gli Eagles, o i Queen. In Italia ho fortissima stima per Pino Daniele, lo inserisco nella top ten dei grandi musicisti mondiali. Sullo stesso piano c’è Paolo Conte: ho contribuito a farlo conoscerlo all’estero, sai? Una volta invitai Gilles Peterson, per ascoltare e commentare insieme un po’ di pezzi italiani. Rimase colpito da “Alla prese con una verde milonga”. In diretta mi disse: “Voglio tutti i dischi di questo musicista!”. Poco tempo dopo lui mandò in onda alla BBC la musica di Paolo Conte…
(foto by facebook)