Dalla dolcezza nostalgica di “Ho messo via” al sale della terra, dall’excursus familiare di “Per sempre” ai costi della politica. Il tutto, con la scusa del rock ‘n roll. Ligabue concede il bis (e che bis) allo Stadio Olimpico: Roma è in festa, la pioggia è una minaccia costante, ma alla lunga anche Giove Pluvio decide di accomodarsi in tribuna accanto a noi. E saltare. Perché Luciano è così, spiazzante: tenerezza e zucchero sul palcoscenico, Zuckerberg tra la folla (nel senso dei telefonini, brillanti come torce nella foresta).
Musica e parole: il risultato è un concerto colmo di ‘comunicazione’, con il rocker di Correggio che si fa messaggero del rock 2.0. Dietro di lui appaiono vecchie foto, filmati in bianco e nero, una giostra-carillon che fa molto amarcord. E, ancora, la linea rossa di un elettrocardiogramma, un cavalcavia metropolitano con le sue scritte irriverenti, divertenti, amare. “Mondovisione” è l’album sviluppato live, ogni tanto arrivano quei pezzi storici che i 60.000 dell’Olimpico conoscono a memoria: Liga canta tutto e di tutto, all’appello mancano davvero poche hit (citiamo, a riguardo “Marlon Brando è sempre lui”, “Caro il mio Francesco” e “Bambolina e Barracuda”).
Rock genuino, passionale, emozionate. Oltre due ore di musica che hanno mandato in delirio il pubblico di Roma: Ligabue fa il suo ingresso alle 21.30, in giacca gessata e occhiali scuri, il cielo è nero, ma Gesù ha chiuso la pioggia in cantina. Come rovinare uno spettacolo in “Mondovisione”? Sì, stavolta la pioggia se ne frega, proprio come la neve di Luciano.
Ancor prima di cogliere la musica, ti rendi conto di quanto questo sia uno spettacolo a 360°, con quello schermo gigante a 180 gradi (e aperto sui lati) che avrebbe fatto invidia ai progetti ‘totalizzanti’ di Richard Wagner. Tutti partecipano, i sogni e i ricordi, il pubblico e i musicisti, le luci e il fumo che sale ogni tanto ai bordi della lunga passerella.
La scaletta
Setlist scatenata e scatenate. Ligabue porta sul palco dell’Olimpico successi di ieri e di oggi. “Il muro del suono” (GUARDA IL VIDEOCLIP), “La neve se ne frega”, “Ciò che rimane di noi”, “Siamo chi siamo”, “Ho messo via”, “Balliamo sul mondo” (25 anni e non li dimostra), “L’odore del sesso”, “Urlando contro il cielo”, “A che ora è la fine del mondo”, “Piccola stella senza cielo”, “Il sale della terra”, “Il meglio deve ancora venire”. In mezzo c’è tempo anche per un medley di tre brani che Luciano lascia cantare al pubblico. “Tra palco e realtà” fa da ponte all’attesa serie di ‘bis’, con “Quella che non sei”, “Certe notti” e “Con la scusa del rock ‘n’roll”.
Il siparietto
Ligabue saluta Roma, tra un riff di chitarra e un attacco al potere, tra una melodia del passato e qualche progetto per il futuro. Misto a speranza. Ma la musica è anche gioco che strizza l’occhio alla memoria: così, in scarpe rosse e abito da cameriere, ecco irrompere sul palco lo storico manager Claudio Maioli. Come nel 1997, edizione aggiornata del mitico siparietto: tampone sulla fronte dell’artista e tazzina di caffè. Sale della terra, pepe del presente e zucchero di un passato che ritornerà. Per sempre.
(foto by facebook)
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