Disc-History: U2, Zooropa (1993)

Un disco storico, sperimentale, coraggioso. Avevo 12 anni quando trovai sul vecchio stereo di casa al mare la coloratissima cover di “Zooropa“: era il 1993 e con grande deferenza, mista ad ignoranza, mi affacciavo all’universo degli U2. Sono passati 20 estati e mi sembra arrivato il momento di raccontare un album che, in qualche modo, segnò la mia crescita. Da ascoltatore della musica. Il successo aveva già avvolto la band dublinese, ancora Bono non si era lanciato in operazioni benefiche a largo raggio e non aveva avuto tempo di rivolgersi ai signori D’Alema e Berlusconi dal palco del Teatro Ariston di Sanremo. Sarebbe accaduto più avanti, nel 2000.

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E, così, il singolo che dà il titolo al disco è anche la prima traccia: atmosfera sognante, surreale. Mi piace scegliere un live di qualche anno dopo, per farvi apprezzare al meglio quell’atmosfera: chitarre distorte a far la parte del leone e assoluta estraneità al grunge imperante. La title-track è un piccolo manifesto dell’album, il messaggio di Bono è chiaro. L’elettronica, alla base. Nel 1992, l’anno che precede la pubblicazione europea, gli U2 stavano percorrendo il mondo (o quasi) in lungo e in largo con il loro roboante “ZOOTV Tour“. Antipasto di un progetto audace. Tocca ammetterlo, alla mia tenera età mi ero lasciato ammaliare da quello che forse era il pezzo più “povero” del disco, Babyface

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Tra Achtung Baby e Zooropa, il tour “di cui sopra” fece esplodere gli stadi e le arene indoor: circa 160 concerti, quasi 5 milioni e mezzo di spettatori. Dopo due anni in giro, la rivista Q lo definì “il rock tour più spettacolare della storia. Il brano Babyface era e resta di facile ascolto, impossibile attribuire a lui l’aggettivo “controverso”, con il quale alcuni critici dell’eletta schiera raccontarono questo disco. Sonorità cinematografiche sono quelle di “Lemon”, con quella partenza avviluppante, col suono in saliscendi, come fosse una sinusoide impazzita. Ritmica elettronica, quasi dance…

Grande prestazione vocale di Bono, un falsetto da applausi, probabilmente irripetibile. Una volta Edge dichiarò: “Mi ha sempre fatto ridere sapere che ci fosse una canzone del genere in uno dei nostri album“. In effetti, ad ascoltarla oggi non sembra neppure un pezzo in stile U2. Domandatevi perché recensiamo un album del genere. Ecco uno dei motivi. Da una canzone sui generis, inaspettata, ad una delle ballad più belle di tutta la storia degli ultimi 20 anni. E non esagero: “Stay”. Non serve conoscere la storia di questa lirica, ci arriveresti anche senza conoscerla. La narrazione parte dall’alto e va verso l’alto, dal basso. Con lo sguardo che muove verso l’orologio, in direzione cielo. Il cielo sopra…

Un brano composto dagli U2 per il film di Wim Wenders “Così Lontano, Così Vicino“, che è il seguito de “Il Cielo Sopra Berlino“. Appunto. La richiesta, l’imperativo, la dichiarazione: “Resta”. E, poi, la frase finale, chiaro riferimento al film: gli angeli “caduti” giungono sulla terra e la loro vecchia corazza di ferro si schianta al suolo. Qui, come in altri brani, si vede la mano di Brian Eno. Già In Achtung Baby aveva giocato un ruolo fondamentale.

Tralasciamo le altre tracce, che – tuttavia – è d’obbligo citare: “Daddy’s Gonna Pay for Your Crashed Car”, “Some Days Are Better Than Others”, “The First Time”, “Dirty Day”, “The Wanderer” (la coda di Zooropa reca il nome di Mr. Johnny Cash, mica male) e “Numb”: quest’ultima track è la più controversa di un disco a sua volta controverso…

Audace come tutto “Zooropa”, il singolo di lancio dell’album è il manifesto sonoro della nuova strada intrapresa dagli U2: ritmica ipnotica, con il cantato di Edge a stordire l’ascoltatore. Sfruttato anche qui il falsetto di Bono (sul ritornello), “Numb” è un synth che non non finisce mai, pezzo infinitamente sperimentale: controverso, azzardato, convince solo a metà. Ma, come diceva Solone, “nelle grandi imprese è impossibile piacere a tutti“.

(foto by facebook)