La cultura popolare italiana perde un’altra colonna. Una due giorni sciagurata per la musica italiana, più in generale per tutto il nostro grande spettacolo. Dopo Enzo Jannacci, simbolo meneghino, anche Roma viene defraudata di un suo Re: Franco Califano non c’è più. Solo pochi giorni fa, il 18 marzo, si era esibito al Teatro Sistina di Roma. Amava gli scherzi, le donne, gli eccessi. Un poeta spericolato, bello e generoso: autore, attore, cantante, cuore caldo e sguardo buono. Battuta pronta e sguardo acchiappesco, come avrebbe detto Gigi Proietti…
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Franco è morto nella sua casa ad Acilia all’età di settantacinque anni. Il cantante era malato da tempo. Nato il 15 marzo a Pagani, in provincia di Salerno, Califano era però cresciuto tra Roma e Milano. Il Prevèrt di Trastevere, così era stato definito: alle spalle una produzione immensa, quasi infinita: mille canzoni, alcune entrate di diritto nel canzoniere popolar nazionale (“E la chiamano estate”, “La musica è finita”, “Una ragione di più”, “Minuetto”, “Questo nostro grande amore”, “Semo gente de borgata”, “Un grande amore e niente più”) e una vicenda personale molto amara, chiarita – come spesso accade – un po’ in ritardo (gli arresti del ’70 e dell’83 per stupefacenti, seguiti da un proscioglimento).
Molti dei successi di Califano hanno preso ispirazione dalle sue vicende personali, come La mia libertà, “Io nun piango”, “Cesira”, “Avventura con un travestito” e “Pasquale l’infermiere”. “Questa notizia di Franco mi ha lasciato basito, senza parole. Ieri Enzo Iannacci, oggi Franco Califano: una Pasqua da dimenticare per noi che facciamo questo mestiere. Sono due persone inimitabili, due artisti unici. Ma con Califano eravamo anche molto amici, ci volevamo proprio bene“, le parole commosse di Rosario Fiorello…
Piccolo e grande schermo nella carriera, lunga ma non sempre fortunata, di Franco. In pochi ricordano, ad esempio, “Due strani papà“, pellicola del 1983 diretta da Mariano Laurenti che vedeva nel cast anche Pippo Franco e Maurizio Mattioli. L’anima del Califfo era chiara e netta, usciva fuori da una recitazione essenziale e convincente, tenera e a tratti “mascalzona”. Quel film segnò un brutto periodo per lui, con la brutta vicenda della droga che lo fece finire in carcere: “Due strani papà” fu ritirato dalle sale cinematografiche, per fortuna della produzione il mercato delle VHS regalò a tutti un grande successo.
Noi cronisti siamo soliti a individuare canzoni-manifesto nella carriera di una artista, non è detto che sia un bene, anzi, spesso i diretti interessati ne farebbero volentieri a meno. In questo caso, facile è pensare alla bella collaborazione con Mia Martini, a “Minuetto” e “La nevicata del ’56”. Titoli legati ancor più direttamente alla sua produzione sono davvero tanti, a volte nascosti. Una su tutte è “Capodanno“, struggente ballata che ci piace consigliare. Il saluto è un saluto retorico, ma concedetecelo: la vita è molto ricca e dura poco, ma è l’unica cosa veramente importante. Va vissuta intensamente, tra azzardi e mascalzonate, magari rubando la donna a qualcuno se davvero ci ha fatto impazzire. Tutto il resto è noia.
(foto by kikapress.com)
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