“Ci vuole coraggio a salire sul ring con la certezza di essere sconfitti“. Bella o brutta, questa non è mia, ma tratta dall’ultimo capitolo di Rocky. Mi piace partire da qui con Danny Losito, che ritrovo 9 anni dopo Sanremo (l’anno sabbatico del Festival, quello con Tony Renis e senza major). Adesso la sfida è quella di The Voice of Italy: dopo le Blind Audition, ha vinto anche la Battle contro il favorito Savio Vurchio: dopo “Master Blaster”, ha stupito tutti con “Crazy”. Nel 2004 sul palco dell’Ariston saltava come un grillo, anzi proprio come un boxeur che balla sul ring per far innervosire l’avversario.
Adesso, a un passo dai 50 anni, sembra aver ritrovato la grinta e l’entusiasmo dei giorni migliori. In mezzo qualche intoppo, qualche scelta poco fortunata, ma sempre viva la voglia di far musica e di farla bene: dal successo internazionale targato Double Dee (Found Love, 1990, disco che fece vacillare la Epic Records, casa discografica di Michael Jackson) agli ultimi anni vissuti sull’onda lunga del funky sposato con altre tendenze. Nelle ultime settimane abbiamo parlato tanto del format di Rai Due, difficile fare un pronostico sulla voce che alla fine trionferà, ma il 47enne di Gioia Del Colle ha tutto per arrivare fino in fondo: voce, presenza scenica, umiltà, determinazione, duttilità. Oggi è il suo compleanno, mi spiace gli tocchi festeggiarlo con me: la musica richiede anche qualche piccolo sacrificio!
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A bruciapelo: perché l’hai fatto, Danny…?
Perché no, Gianfranco? Una domanda piccola, ma meriterebbe risposta enorme. Sai, quando hai una possibilità per far valere la tua ragione di vita, non puoi tirarti indietro. A The Voice non c’era limite di età, nessuno sapeva chi fossi. Avevo il “dovere” di buttarmi nella mischia…
Come sei arrivato a The Voice?
Ho portato ai provini 5 brani in italiano e 5 in inglese. Ho raccontato in maniera informale quello che era il mio mondo musicale, cosa mi piace, cosa canto… “Master Blaster” era tra i tre brani che speravo di poter cantare. Poi, a ruota, “It’s a man’s world” (quella che poi è toccata a Savio Vurchio) e “A real mother for ya” di Johnny Guitar Watson. Sarebbe stato fantastico fare questa qui!
Che sfida con Savio!
Sfida difficile, credimi: un vero “inferno”, eravamo dispiaciuti di doverci scontrare: come si dice dalle mie parti “mangiavamo la stessa pasta”, inoltre siamo coetanei, entrambi pugliesi. Abbiamo legato molto, ma il gioco è quello, c’è poco da fare a quel punto…
Perché hai scelto Pelù come coach?
Non ho avuto dubbi: ero e resto convinto. Ti confesso che pensavo non si girassero. Nei giorni che hanno preceduto le Blind Audition continuavo a dirmi: “Perché ci vado a questo punto della mia vita? Chi me lo fa fare?“. Avevo già deciso di andare col primo che si fosse girato. E’ vero che con Noemi esistono punti di contatto, musicalmente parlando, ma Piero è un artista validissimo, che conosce la musica a 360°, non solo il rock. Siamo diversi come stile, ma con uno come lui si potrebbe fare qualsiasi cosa.
Andiamo un po’ indietro: se ti dico Epic Records che mi rispondi…?
E’ passato qualche annetto, mi fai ricordare che sto un po’ avanti con gli anni! La Epic era la casa discografica di Michael Jackson, a un certo punto decise di portare negli Stati Uniti la nostra “Found Love”. Sai, all’epoca il vinile girava da matti, lo suonavano dj come David Morales. Tutti pensavano fossi americano: una cosa pazzesca, io sono di Gioia del Colle! Questa cosa è stata anche la mia “croce”: reggere la botta del successo non è mai facile, dopotutto non ero un vero cantante, sto cominciando adesso a farlo in maniera un po’ più seria…
Sanremo 2004, cosa ricordi?
Credo arrivai terz’ultimo. Ma ricordo momenti bellissimi, Tony Renis gentile e disponibile con me, così come con tutti gli altri. Se ci fossero state le major probabilmente non ci sarebbe stato posto per uno come me. Il Festival aveva e avrà sempre un sapore particolare: quest’anno l’ho seguito e ho notato una forte crescita: ok le polemiche, ma la musica resta protagonista, inutile negarlo.
Chi ti è piaciuto a The Voice?
Impossibile fare dei nomi, anche perché rischierei di dimenticare qualcuno e sarebbe un peccato. Una cosa posso dirtela: sono rimasto impressionato dai giovanissimi, ho sentito due o tre sotto i vent’anni che mi hanno lasciato senza parole. Altro che acerbi o inesperti, non sai quante voci interessanti ci siano in giro, talenti naturali che avrebbero solo bisogno di un po’ di fiducia…
Ho visto che hai preso confidenza con i social network ultimamente…
Adesso c’è molto traffico sulle mie pagine, è naturale. Ma io odiavo Facebook e una cosa adesso non mi è andata giù: ho scritto belle parole su Savio, è stato un grande avversario, ma i “puristi” hanno dimostrato di non apprezzare la mia interpretazione, il mio modo di muovermi sul palcoscenico. Ho letto frasi del tipo: “Se anche Savio avesse avuto un manager, o la giusta raccomandazione, magari sarebbe passato lui…“. Questo non lo accetto, io non ho mai avuto un manager! Se ce l’avessi avuto, ora chissà dove sarei… Invece sono arrivato qui come un numero, come tutti gli altri. Se ne dicono tante sui social, spesso si parla a sproposito, senza conoscere le cose reali.
Chiusura classica: progetti per il futuro?
Ho il computer stracolmo di demo che non so dove andranno a finire. The Voice mi ha spinto a mettermi in gioco con un disco nuovo, ammesso che qualcuno lo voglia! Ho provinato tanti brani in inglese: non sono mai stato un grande autore di testi, le mie cose italiane non hanno avuto fortuna in tutti questi anni. Torno a mettermi in gioco in un’altra lingua, ma la musica è sempre quella, la musica è la mia ragione di vita.
(foto by facebook)