99 Posse, Zulù: “Ciò che combatte Grillo noi lo combattiamo da 20 anni” [INTERVISTA]

Era il 1993, ascoltavo Articolo 31 e 883, al cinema c’era tanta roba. “Sud”, diretto da Gabriele Salvatores, è stato uno di quei film visti con curiosità e sete di conoscenza: fu il primo incontro con il rap dei 99 Posse, band che, grazie a quella storia di periferia siciliana, mise un punto fermo sul loro manifesto: “Curre Curre Guagliò”. Sono passati oltre 20 anni e le cose non sono cambiate. Zulù, al secolo Luca Persico, mi dice: “Le nostre canzoni non sono attuali oggi, erano avanti all’epoca…“. Non c’è presunzione o arroganza, è realtà. Siamo nel 2014, è uscito “Curre Curre Guagliò 2.0 – Non un passo indietro”, un album che va raccontato in funzione dei numerosi guest che hanno deciso di dare linfa nuova a canzoni del loro tempo: da J-Ax a Roy Paci, da Clementino a Caparezza, sino a Mama Marjas che in quel 1993 aveva appena 7 anni.
Quello dei 99 Posse è rap inteso come denuncia sociale, come lotta al sistema, al di fuori del Parlamento: lo stesso rap che ha saputo fotografare, prima della storia, la figura del ‘precario’. Lo stesso rap che oggi usa certi modelli per farsi ancora più largo, pensiamo ai vari Moreno, Rocco Hunt e un mai domo J-Ax: “La sua partecipazione a The Voice è un bel segnale, è una vera incursione…“. Zulù resta un grande sognatore, lo era quando si lasciava affascinare dal primo rock di Bruce Springsteen (“Il Boss è stato il più grande poeta di strada mai esistito“) e lo è ancora oggi: è in questa direzione che va il progetto di una Woodstock Rap da organizzare proprio a Napoli, in coda alla stagione estiva…

Zulù, perché questo album, 20 anni dopo? Chi ve l’ha fatto fare?

E’ stato un modo per regalare alle nuove generazioni qualcosa che ancora oggi ha un senso. Oggi, come allora, è ancora quello il pubblico che considera quel disco come un punto di passaggio, credo fosse utile dar vita a un progetto in grado di sottolineare l’unicità artisti e militanti. Noi 99 Posse siamo stati bravi a essere trasversali, a megafonare tutte quelle voci di periferie molto lontane dall’impegno politico: in questi 20 anni poco è cambiato, resta forte l’incomunicabilità, la solitudine, la crisi sociale, l’asservimento ai ritmi del lavoro…

Tanti ospiti del disco: perché proprio loro? Come sono stati selezionati?

Torno sul concetto della trasversalità. Abbiamo pensato di privilegiare, nelle scelte dei guest, molti artisti con i quali non avevamo mai collaborato, molti dei quali sono cresciuti con “Curre Curre Guagliò”. Si sono messi a disposizione, hanno ascoltato i brani, riuscendo ad arricchirne il senso a modo loro, inserendo idee originali.

..ma secondo te la rabbia e l’ironia cara ai pezzi contenuti nel disco è stata offuscata dalla presenza dei featuring, oppure incrementata? Alcuni puristi, sui social, hanno mosso delle critiche.

Penso ad un incremento, alla capacità di aggiungere un nuovo punto di vista. In generale, credo che ogni nuova versione sia l’opportunità di restituire a “Curre Curre Guagliò” quello che il disco ha dato all’epoca a tutti gli artisti che hanno preso parte a questa nuova avventura. E ‘ stato un gioco di scambio molto costruttivo e, soprattutto, senza la pretesa di intaccare o cancellare il disco del 1993. Quello resta dov’è…

E’ vera questa cosa di una Woodstock Rap per fine settembre?

Per adesso è più di un sogno, ma la voglia c’è, eccome. L’idea è quella di riunire tutti, o quasi, gli ospiti del disco, e di fare un grande concerto, a ingresso gratuito: la data potrebbe essere il 19 settembre, il luogo la Mostra D’Oltremare di Napoli.

Alcuni giorni fa, qui a roma, scontri in piazza tra i giovani e le forze dell’ordine. Cosa pensi di questi ragazzi che devono ancora correre veloci per manifestare i loro, sacrosanti, diritti?

Devono correre ancora più forte rispetto a 20 anni fa, hanno più mezzi per farsi ascoltare, ma forse sono ancor meno ascoltati, considerati. Bisogna fare gruppo, è l’unico modo per darsi un senso: la politica oggi non vive di progettualità, sa bene che il 51% dei voti non basta per cambiare le cose, ma non si sforza per cambiare la legge elettorale. Noi possiamo solo operare un perpetuo controllo dall’esterno del parlamento, ma non è una condanna. Semplicemente, uno uno stile di vita.

Nel disco c’è anche la traccia “Rappresaglia Rap” con J-Ax: cosa pensi della sua partecipazione a The Voice?

Sicuramente con J-Ax la gente mostra un interesse maggiore a tutto il rap italiano. Dopotutto, la tv non può fingere che una cosa non esista: nei primi anni ’90 anche noi venivamo ospitati, perché eravamo diventati un fenomeno sociale incontrollabile. Oggi il rap riempie gli stadi, così a noi incursori del sistema si aprono dei varchi molto ampi. Mi piace quest’operazione di J-Ax, le sue battute e allusioni anti-proibizioniste, la sua continua critica agli standard della musica italiana.

…e del tuo amico Valerio Jovine ora nel team J-Ax?

Sono molto felice della scelta di Valerio: stare al fianco di J-Ax non potrà che migliorarlo. Come sai, The Voice è diverso da X-Factor, non ci sono veri provini, ma giovani artisti che vengono ‘contattati’ per essere valutati su un palco. Valerio ha fatto tanta gavetta e dopo tante porte sbattute in faccia ha deciso di sfruttare questa occasione. E’ un incursione nell’incursione, mi piace.

Digressione elettorale: tra poco ci sono le elezioni europee, non ti chiedo per chi voti, ma come ti poni?

Mi sento impegnato su altri fronti, per il resto dubito che si possano cambiare le cose all’interno del Parlamento, i partiti sono una roba antica, le istanze devono partire dal basso. Non voterò alle elezioni europee, voglio contribuire creando una consapevolezza all’interno del mio quartiere, come tutti dovrebbero fare. Ti dico la verità, quello che oggi combatte Grillo noi lo combattiamo da quasi 20 anni, in quello che dice io non trovo molte novità.

Appunto, 20 anni fa usciva “Sud” di Gabriele Salvatores: la colonna sonora poggiava su “Curre Curre Guagliò”…

Non voglio apparire presuntuoso, ma credo che sia il film, sia il disco fossero molto avanti rispetto all’epoca. Si soffermavano molto sulla figura del precario, che – negli anni- è diventato una figura centrale della nostra società. Noi ne abbiamo parlato, lo abbiamo raccontato 10 anni prima degli altri, sapevamo cosa sarebbe accaduto, perché le conseguenze di certe politiche portano in determinate direzioni, è inevitabile.

Cos’è cambiato in 20 anni di rap?

Nasce sempre da esigenze di auto-rappresentazione, di denuncia. Per natura è border line e quando scivola nel ‘commerciale’, penso ad esempio a Club Dogo e Fabri Fibra, cambia forma. Ma artisti come loro vengono da lì, dalla periferia, in fondo sono uguali a noi, sono ‘dei nostri’. Devono esistere tutte e due le facce della medaglia, il problema è che a volte il music business tende ad annullare i messaggi rivoluzionari del rap. Sai cos’è? Noi abbiamo affrontato con grande diffidenza il mondo della discografia, delle major: forse oggi ci vorrebbe un pizzico di diffidenza in più da parte dei rapper. Non è un consiglio, ma una considerazione.

Chiudo. La tua ‘canzone nell’armadio’, quella legata a un ricordo particolare della tua adolescenza.

Senza dubbio è “Born in the Usa” di Bruce Springsteen, un pezzo che mi ha catapultato nel mondo della working class americana. Con lui, che è stato il più grande poeta di strada mai esistito, sono riuscito a guardare l’America dal punto di vista dell’operaio, non da quello delle banche. Quelli erano anni decisivi per la mia crescita, anni in cui si formava la mia coscienza politica. Nel complesso, il rock mi ha salvato da Sanremo e dalla disco-music, altrimenti non so cosa ne sarebbe stato di me.

(foto ufficio stampa)