Renzo Rubino: “Prima Sanremo, poi cerco Capossela e Paolo Nutini” [INTERVISTA]

In provincia si dice che il divertimento non debba per forza essere scandito dalla quantità, dalla massa. Si può anche stare in pochi e stare bene. E’ l’ottobre 2013, mi trovo in un locale di Roma, zona San Giovanni, la mezzanotte è già passata. Renzo Rubino si avvicina alla tastiera. In pista siamo rimasti in pochi, la serata è già bella che finita, ma lui – senza essere stato annunciato – decide di improvvisare, di suonare e cantare. E’ lì che riconosci l’artista.
Fa piacere rivedere Renzo sul palco del Festival di Sanremo: due brani (“Ora” e “per Sempre e poi basta”) legati al sentimento universale, all’amor proprio, alla voglia di lottare per qualcosa o per qualcuno. L’Ariston non arriva per caso, è stato preceduto dal Festival Gaber, dai Wind Music Awards e dal Concerto del primo maggio. Maturità raggiunta, certamente pari al desiderio di dire la sua, di dare del suo: forse per questo il nuovo album, in uscita il 20 febbraio, s’intitola “Secondo Rubino” (Atlantic/Warner Music). Questioni di opinioni, le sue, che iniziamo ad ascoltare con piacere. Dove eravamo rimasti? Ah, Pinocchio

Un anno fa mi hai detto: “Vorrei fare un disco su Pinocchio“. Come siamo messi?

(ride) Certo, ricordo bene! Credimi, è un pensiero ricorrente, ma nel mio progetto è sempre al terzo posto, nel senso che dovrebbe essere il prossimo album. Mi devo muovere, perché ci tengo davvero tanto: se lascio passare troppo tempo, poi finisce che non lo faccio più!

Poi ci siamo visti al “Festival Gaber”: sei maturato anche grazie a quell’esperienza?

Rientra in tutta una serie di cose fatte durante l’anno appena passato. Ammetto di essere sereno, ma di sentire sulle spalle il peso di un anno importante, un anno in cui ci sono state tante novità. Vivrò Sanremo con tranquillità e sicurezza, con la voglia di divertirmi e mettermi in gioco, in discussione. L’Ariston è una bella esperienza, stare su quel palco per la seconda volta sarà un piacere, perché una maggiore maturità mi permetterà di godermi tutto con più consapevolezza.

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Diciamo la verità, erano in pochi a pronosticare la tua presenza nel cast: a questo punto sei tra i favoriti, che dici?

Mi conosci e sai che non penso ai treni. A me basta fare il mio lavoro, scrivere canzoni e metterci dentro tutta la passione che ho. Anch’io sono stato molto sorpreso nel vedere il mio nome tra i Big, non me l’aspettavo, lo giuro! Adesso penso solo a cantare quelle due canzoni davanti al pubblico, sono pezzi che meritano quel tipo di cornice…

Correggimi se sbaglio: una è una canzona d’amore, l’altra è più legata all’attualità?

“Per sempre e poi basta” segue il più classico filone amoroso, penso sia la più bella canzone scritta in tutta la mia carriera, anzi ne sono sicuro. “Ora”, invece, è un messaggio d’amore nei confronti di se stessi, è un guardarsi allo specchio, è chiedersi: “Sono felice o no?”

Se potessi scegliere, quale vorresti portare fino alla serata finale?

“Ora”. Mi farebbe piacere poterla cantare più volte davanti a milioni di italiani, anche perché credo ci sia bisogno di messaggi di questo tipo. E’ una canzone che non dà risposte, ma semina dubbi e domande, fa riflettere: la ricerca della serenità, l’importanza della quotidianità, la voglia di migliorare il proprio presente.

Dimenticavo: “Per sempre e poi basta” è autobiografica?

Assolutamente sì. Si tratta della mia prima delusione: non sapevo cosa stesse succedendo, ero confuso. A quel punto ho preso carta e penna e ho cominciato a raccontarmi, forse anche per sfogare un po’ di cose che non mi tornavano più. Sono reazioni naturali e non le puoi fermare. Le canzoni, in questo, sono quasi una medicina.

Un nostro amico, Matteo Brancaleoni, mi ha parlato bene del tuo concerto al Blue Note..

Lui è un grande artista, se ti ha detto certe cose devi fidarti! (ride) Quella di Milano è stata una delle tappe più belle del “Poppins Tour”, per la location, per le luci che si sposavano alla perfezione col mio spettacolo. Inoltre, ho notato una grande partecipazione. Dal vivo è fondamentale, altrimenti che senso avrebbe fare concerti?

Concerti: preferisci quella dimensione allo studio di registrazione?

Impossibile rispondere. Certo è che da ora in poi vorrei suonare sempre di più, anche per strada, in mezzo alla gente. E’ il modo migliore per conoscere veramente la realtà: incontri storie, mestieri e persone che poi diventano il cuore delle tue stesse canzoni. Canto spesso ciò che vedo, la mia musica è a volte sognante, ma spesso legata al quotidiano, agli incontri sotto casa.

A proposito di attualità: “Secondo Rubino” è album da opinion leader?

Diciamo di sì, ma senza presunzione. E’ un disco riflessivo, un disco pensato. Dico grazie a tutta la mia squadra, hanno fatto un grande lavoro. E’ la mia opinione su tutto, tratta diversi temi, da quelli intimi a quelli più universali. Se dovessi definirlo, direi che è un album “a conduzione familiare”, forse perché ho dei musicisti molto giovani che hanno lavorato con passione pari alla mia. Oltre a essere un disco “guitar free”, non c’è una chitarra dentro…

A Sanremo potrebbero esserci ospiti di spessore, grandi cantautori: duetti e collaborazioni, che sogni hai?

Lui non ci sarà, ma ti dico subito un nome: Vinicio Capossela. Secondo me è bravissimo a raccontare in maniera personale quello che accade attorno a tutti noi. Un artista vero, così come vere sono le sue canzoni. Un cantautore che ha fatto la storia è Renato Zero, se potessi lavorerei un po’ al suo fianco, magari!

Artisti internazionali, invece?

E’ un desiderio antico, mi farebbe piacere aprire un concerto di Paolo Nutini, te l’avevo detto anche un anno fa, lo sai. Chissà, magari, quest’anno ci riusciamo…

Un anno fa non ti avevo chiesto qual è la tua “canzone nell’armadio”, quella che…

Fermati, so dove vuoi andare a parare! (ride) Ne ho due, la prima è “Attenti al lupo” di Lucio Dalla, la seconda – quella alla quale mi lega un ricordo familiare – è “Bella” di Jovanotti. Sai, quand’ero bambino mio papà mi vestiva da Lorenzo e mi diceva: “Tu sei Jovanotti“. Ero buffo da morire, col cappello tirato all’indietro e gli occhiali da sole, quelli alla moda…

(foto Ufficio Stampa)