“Io Canto”, Mara Maionchi: “Vasco Rossi il mio grande rimpianto” [INTERVISTA]

Si scrive Maionchi, si legge Talent Show. Si pronuncia discografia. Lo sa bene lei, Mara da Bologna, che quel tipo di spettacoli televisivi li conosce tutti e bene. Oggi caposquadra a Io Canto, ieri docente ad Amici e giudice a X-Factor: ne ha visti tanti di talenti (dai 10 ai 40 anni), riuscendo – nell’arco di una carriera – a inanellare una lunga serie di successi e scoperte, da Tiziano Ferro a Gianna Nannini. La sua onestà intellettuale nell’ammettere i grossi mutamenti della discografia moderna mista alla sua incapacità nel dare consigli a sua figlia, Camilla, al timone della piccola e ambiziosa Cimice Records.
Il rimpianto di non aver potuto mai lavorare al fianco di Vasco Rossi, la stima per Lady Gaga e l’ironia su Cher: e, poi, tanto altro, dall’inossidabile Morandi al “primitivo” Emanuele Corvaglia, fino a sbattere contro un passato colmo di sentimenti, racchiuso nelle note di una canzone: “I’m easy”

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Partiamo in maniera inconsueta: hai una figlia d’arte, cosa le consigli per la carriera da discografico?

Devo esserti sincera, sono passati tanti anni, sono mutati i mezzi tecnici a disposizione. L’unica cosa che posso dire a lei, come a tanti giovani, è lavorare, lavorare, lavorare. Il mondo della musica è cambiato, tu lo sai meglio di me. Mi sento indifesa, anch’io sto cercando qualcosa di diverso, ma faccio tanta fatica: non mi permetto di dar consigli, prima dovrei essere io a capire certi nuovi meccanismi.

“Io canto”, è cambiato molto rispetto alle precedenti edizioni, come ti stai trovando?

Mi viene in mente Claudio Tropea, uno che oltre a cantare, sa stare in scena, si sa muovere. Questi ragazzini non sono in attesa di un giudizio da parte nostra: non è detto che finiranno col fare i cantanti, magari diventeranno medici, avvocati. Sono entusiasti, semplici, istintivi. Qui a “Io Canto” è una festa costante, c’è atmosfera da Club Med: alcuni di loro, oltre a divertirsi, sono proprio divertenti…

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Quest’anno conta molto la componente autorale, grazie al progetto SIAE: è quasi educativo, vero?

Gli autori sono in un momento di difficoltà, per diventare buoni professionisti tocca buttare via molto, fare la gavetta, “soffrire” in un certo senso. Lo stesso capita nel caso dei giornalisti: se c’è del talento, lo si percepisce subito, ma le soddisfazioni arrivano solo col tempo, col mestiere. In certi casi la pazienza è fondamentale.

Nel caso specifico di questi “bambini”…?

E’ utile avere alle spalle chi possa guidarti e costruirti: negli ultimi anni la canzone per ragazzi è cambiata tanto, oggi si può anche indagare l’attualità, sono finiti i tempi dei “44 gatti”. Le canzoni di successo sono legate ad artisti di successo, ma la canzone ha un valore e, se buona, dura nel tempo, indipendentemente dal suo interprete.

Una volta hai detto che in Italia oggi manca la volontà di creare fenomeni alla Mogol-Battisti. In sostanza, c’è scarsa vena collaborativa?

La coppia Mogol-Battisti è di una storicità mostruosa: loro, come Nisa-Carosone, sono stati capaci di rivoluzionare il modo di scrivere canzoni. Lavorare insieme non è facile, avere le stesse intenzioni e gli stessi gusti è davvero una roba rara. Anche Migliacci e Modugno hanno fatto benissimo insieme, ma di così forti sarà quasi impossibile trovarne ancora.

Trova un aggettivo o una definizione: Alessandro Casillo, Giuseppe Giofrè ed Emanuele Corvaglia…

Casillo l’ho visto ieri sera, molto più maturo rispetto al passato, un ragazzo umile e piacevole. Giofrè è un artista completo, più bravo nel ballo che nel canto, ma in America uno come lui è la regola, non l’eccezione. Emanuele ha un carattere particolare, “primitivo” sotto certi aspetti. Lui scrive di continuo, la tenacia lo accompagna, ma sa che deve migliorarsi: un po’ come fece Ferro, prima di arrivare ai primi successi.

Hai detto che ti ricorda il primo Jovanotti…

E’ uno positivo, scanzonato: spesso ci porta delle canzoni e noi gli buttiamo via tantissima roba. Eppure lui non si arrende, è quasi contento. Ricomincia sempre da capo, anche questo vuol dire avere talento.

Qualche giorno fa Cecchetto mi ha detto: “Il talent tradizionale sta cercando la nuova Adele, io cerco la nuova Lady Gaga“.. Che ne pensi?

Io cercherei volentieri anche la nuova Adele! (ride) Economicamente è stato un fatto eccezionale, poi scrive benissimo, per cui… Lady Gaga non è da sottovalutare, anzi: una volta la vidi al pianoforte, di fronte ad Elton John, dimostrò grande talento, notevoli capacità. Mica un fenomeno da baraccone.

Mi racconti il tuo legame artistico con Renzo Arbore?

Gli rompevo le scatole, portandogli i dischi che m’interessava far girare: come forse saprai, lui fu il primo a promuovere artisti emergenti tra radio, prima, e televisione, poi. Ero una promoter, mi comportavo da “accattone”: andavo da lui ad elemosinare attenzione per alcuni artisti, tra i quali anche le prime cose di Battisti e Mogol. Inoltre, quando lui fece “Quelli della notte”, io lavoravo in Rai: facemmo insieme il famoso disco tratto da quella rivoluzionaria trasmissione.

A proposito di discografia moderna: come vedi il progetto di Claudio Baglioni su iTunes…?

Non lo so! (ride) Sono molto onesta, ma secondo me la differenza è relativa. Un artista come Baglioni va ancora stimato, se dopo anni di gloriosissima carriera ha tentato di mettersi in discussione, facendo una cosa diversa dal solito. Se lo ha fatto, è perché gli faceva piacere farlo, tutto qui.

Si parla poco dei gusti musicali di Mara Maionchi: facciamo qualche nome di oggi e di ieri?

Ce ne sono tanti, molti non hanno avuto nulla a che fare con me: Katy Perry, Lady Gaga, Vasco Rossi. Devo confidarti il mio grande rimpianto: nel 1979 feci un’offerta a Vasco per conto della Ricordi, ma lui aveva già firmato per la Curci. Sono molto del successo che ha avuto, tutto meritatissimo.

So che adori Carosone…

Trovo che i suoi testi fossero perfetti per quel periodo, attuali quanto rivoluzionari, proprio per il modo di concepire la struttura di una canzone. Era un autore in linea con il suo tempo, scriveva davvero bene, raccontava vizi e virtù dei napoletani, le sue erano delle canzoni molto cinematografiche, fatte “per immagini”.

Da quando faccio questo mestiere la parola ricorrente è “TALENT”.. Ma il talent show è davvero il sostituto naturale del talent scout?

Sono cose diverse: di trasmissioni televisive che promuovono artisti emergenti ce ne sono sempre state, da Sanremo Giovani al Disco per l’Estate. Oggi come allora vediamo cantanti che ce la fanno, altri no, per colpa di svariate “condizioni sfortunate”, chiamiamole così. Quanti pezzi hanno avuto successo in quei contesti: pensa a “Se stasera sono qui”, oppure “Io vagabondo” che fece il Disco per l’Estate nel ’72…

Se ti chiedo di Amici, mi rispondi che “tutte le esperienze a un certo punto si consumano e si esauriscono…”?

Partiamo da questo presupposto: io non sono un professore di canto. Il canto è un fatto personale e io non insegno la tecnica, casomai la comunicazione. La verità è questa, non riesco mai a “fare finta”, amo rinnovarmi di continuo, desidero avere sempre nuove reazioni: mio marito sta al mio fianco da 38 anni, ma al di là di questo ho grosse difficoltà a stare bene, facendo sempre le stesse cose.

Il recente successo di Morandi: come te lo spieghi?

Morandi è un personaggio alla Celentano: loro hanno lasciato una traccia nel mondo, sia per la musica, sia per gli atteggiamenti. Gianna canta ancora benissimo: lui e Adriano mantengono freschezza, non hanno tentato di fermare il tempo. Cher, invece, ha tentato di fermare il tempo, ma il tempo ha fermato lei…

La tua “canzone chiusa nell’armadio”: quella che amavi da giovanissima e che oggi ti ritorna in mente, perché legata a un ricordo particolare…

Non ho dubbi, è “I’m easy” di Keith Carradine: era l’estate in cui mio marito ed io iniziavamo a frequentarci in maniera più assidua, poi arrivò dicembre e decidemmo di sposarci. Per il resto, mi piaceva cantare sotto la doccia, ma mia madre mi fermava sul nascere, implorandomi di stare zitta…

(foto by kikapress.com)