Per oltre quarant’anni gli irlandesi The Pogues con il loro cantante Shane McGowan hanno rappresentato un altro modo di vivere il punk
Erano amatissimi, in modo particolare in Italia. Dove ogni loro concerto si trasformava in un happening all’insegna della musica, del divertimento e di sbronze epocali.
The Pogues hanno davvero incarnato un altro modo di intendere la musica e il viaggio. Ogni destinazione, ogni concerto si trasformava in un party, molto spesso al di là del lecito e della normalità. E Shane McGowan, con la sua voce ruvida, stonata e sgraziata almeno quanto il suo volto, ne era il perfetto rappresentante e anfitrione.
Il frontman dei The Pogues Shane MacGowan è morto pochi giorni dopo avere lasciato l’ospedale dove era ricoverato da diverso tempo.
Il cantante, che era molto malato, aveva 65 anni. Era lui la voce dei The Pogues, ma soprattutto era l’autore di testi, e di molte delle musiche, dei grandi successi della band irlandese, attiva da diversi anni. Simbolo di un folk punk celtico che affondava le sue radici nella tradizione e nelle sonorità regionali irlandesi.
A lui si devono autentici capolavori: Fairytale of New York, meravigliosa carola natalizia scritta nel 1987, A Pair of Brown Eyes, stralunata canzone d’amore dedicata – per stessa ammissione di McGowan, a una prostituta che lavorava poco lontano da casa sua. Ma anche Streams of Whiskey, la canzone che non potevano non suonare e che spesso chiudeva i loro show.
E su tutte Fiesta…
A Milano, nel 2009, protagonisti di una vecchia edizione di Rock In Idro, The Pogues tennero un piccolo ‘party’ per giornalisti e amici accanto al container che era il loro camerino.
Nessuno di loro si cambiò: arrivarono con i vestiti di scena dall’albergo. Ma in quel camerino c’era di tutto… Vino, birra scura irlandese – della quale McGowan arrivava a bere anche quattro litri durante ogni show – e in particolare liquori. Il cantante adorava il cognac e il brandy, invecchiato.
Con il whisky aveva qualche problema in più: “Ne ho bevuto davvero troppo e non ne riconosco più il gusto, un giorno ho esagerato – aveva raccontato a chi scrive – e mi hanno ricoverato con delle ustioni all’interno della bocca”. Dell’Italia adorava la grappa e qualsiasi liquore aromatico: “Limoncelllllo, Limoncellllllo” continuava a gridare sguaiato con il suo improbabile slang italiano. E si lamentava: perché non era abbastanza gelido.
Gli aneddoti che lo riguardano sono centinaia. Perché Shane oltre che un grande artista e un incorreggibile beone, era anche un uomo di rara generosità.
Adorava quel senso di festa e di comunità che la band sapeva scatenare intorno a sé e voleva che tutti avessero il bicchiere pieno e il sorriso sulle labbra: “I bicchieri sono tali perché si riempiono fino all’orlo…” diceva sempre.
Sapeva di avere problemi da molto tempo. Ma non sopportava l’idea che alcune persone – i suoi amici della band e soprattutto sua moglie Victoria Mary Clarke – avessero dovuto rinunciare a molto per colpa dei suoi eccessi… “C’è stato un periodo in cui il giorno dopo non ricordavo nulla di quello che era successo. Non sapevo nemmeno se avessimo suonato. Se non suonavamo bevevo perché eravamo liberi, se suonavamo bevevo perché volevo spassarmela. E il giorno dopo mi raccontavano. E non sempre quello che mi raccontavano mi piaceva”.
Adorava la cucina italiana: pasta, lasagne, epocale una sua scorpacciata di tortellini alla panna – con un caldo torrido, a Bologna – poco prima del suo ultimo concerto italiano. Era il 2014. Stava già male.
Già dopo il 2010 fu costretto a rallentare considerevolmente le sue esibizioni. Da quattro anni era costretto ad avere assistenza continua. I medici gli avevano diagnosticato una grave disfunzione al pancreas e una encefalite degenerativa: non camminava quasi più e negli ultimi mesi non riusciva nemmeno più a parlare. Cosa che per un chiacchierone simpatico come lui dev’essere stata un tormento.
Aveva due occhi belli e vivacissimi incastonati in un volto sguaiato: “Gli occhi sono la cosa più bella che mi ha lasciato mia madre” diceva. E una delle sue ultime foto, deliziosa, è quella di questa estate con Bruce Springsteen che era andato a trovarlo a casa. Il Boss era in Irlanda per alcuni show e il suo primo impegno fu quello di andare a trovare Shane. Lui e i The Pogues avevano aperto alcuni suoi show in Irlanda: e lui li aveva voluti quando erano all’apice, una ventina di anni fa, per il suo tour americano. Lo sguardo di Shane nei confronti di Springsteen è una immagine dolcissima…
McGowan, che tutti credevano irlandese, era in realtà inglese: nato nel Kent da due immigrati irlandesi. La sua prima band, i Pogue Mahone, gira l’Europa in una serie di concerti divertentissimi fin dal 1981. La band suona con gli U2, i The Skids di Stuart Adamson che poi li vorrà ancora insieme ai Big Country e dopo avere accorciato nome in The Pogues arriva nelle classifiche americane con la canzone natalizia Fairytale of New York scritta da MacGowan e incisa insieme a Kirsty McColl, che a oggi è una delle canzoni natalizie più amate di sempre nel Regno Unito.
La band resta insieme tra alti e bassi, dal 1982 al 2014 per sciogliersi definitivamente anche a causa delle sue condizioni.
Purtroppo di Shane McGowan si scriverà molto perché il suo atteggiamento disincantato ed eccessivo nei confronti della vita si traduceva in eccessi legati all’alcol e alla droga. In realtà il suo stile compositivo fu straordinario per ispirazione e immagine. Durante il tour del 2014, l’ultimo, che passa anche dall’Italia con un evento straordinario a Bologna, appare chiaro che Shane non è più nelle condizioni di portare avanti la storia dei The Pogues sul palco. Ha un paio di malori, si riprende. Ma quando torna a casa la band, persino i suoi amici che erano messi appena un po’ meglio di lui, gli dicono… “è ora di metterci a posto”.
Ci sono abbastanza soldi per curare tutti. Due componenti del gruppo entrano in rehab. A lui impongono una lungo percorso di riabilitazione: lui, nonostante la moglie, riesce a reggere per pochi mesi. Le sue condizioni sono già molto compromesse.
Lui insiste. Promette di disintossicarsi una volta per tutte. Vuole scrivere un libro di favole per bambini e incidere un disco solista. Non riesce a fare né una cosa né l’altra. L’alcol ha avuto effetti disastrosi sul suo fisico. Cade rovinosamente, si rompe un ginocchio: non riprenderà mai completamente il suo equilibrio. Questo periodo va avanti per quasi quattro anni. Le sue condizioni precipitano: viene ricoverato.
La diagnosi è tremenda: pancreatite acuta cronica. Irrecuperabile. La moglie convince a mettere in ordine alcune cose: Shane va persino dal dentista e la sua orrenda dentatura assume un aspetto civile.
Nel 2018 la band si riunisce per festeggiarlo nel giorno del suo 60esimo compleanno alla National Concert Hall di Dublino. Lui piange e chiede scusa. Poi arriva il Covid che su di lui ha effetti devastanti dal punto di vista personale, umano e fisico. L’isolamento lo mette a durissima prova.
A luglio un’altra tragedia personale: la morte di Sinead O’Connor, sua amica da sempre…
Entra ed esce dall’ospedale in condizioni sempre peggiori. Era uscito dall’ospedale il 22 novembre per tornare a casa e festeggiare l’anniversario di matrimonio con Vicky. Lunedì sera va a letto: “Non sto bene” dice alla moglie. Poco prima aveva lasciato un breve messaggio su Instagram in cui salutava gli amici. “Ci vediamo presto…” lo si sente dire con parole molto incerte.
Shane perde conoscenza poco dopo la mezzanotte: muore alle 3.30 nel suo letto, come voleva, accanto alla moglie e alla sorella.
Struggente la dichiarazione di sua moglie: “Sono fortunata oltre ogni dire nell’averlo incontrato e averlo amato. Fortunata nell’essere stata amata così infinitamente e incondizionatamente da lui e di aver avuto nonostante tutto così tanti anni di vita, amore, gioia, divertimento e risate. Non c’è modo di descrivere la perdita che provo e il desiderio di avere ancora uno dei suoi sorrisi che hanno illuminato il mio mondo”.
Il suo simbolo era proprio quel sorriso… “Mai andato dal dentista, li odio i dentisti…. – diceva con grande senso dell’ironia – ma perché… si vede?”
Il presidente irlandese Michael D. Higgins ha descritto Shane MacGowan come uno dei più grandi parolieri irlandesi di sempre: “Le sue parole hanno collegato gli irlandesi di tutto il mondo alla loro cultura e alla loro storia, racchiudendo così tante emozioni umane nel modo più poetico”.
Tra i primi elogi funebri quelli di Bono, Nick Cave, Tim Burgess dei Charlatans.
Shane McGowan lascia un patrimonio immenso di musica ispirata all’Irlanda e al suo spirito più vero e autentico, fatto di favole, goliardia, comunità e senso di appartenenza.
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