La musica è un formidabile veicolo di messaggi politici e sociali per la sua pervasività, perché può essere fruita collettivamente e riprodotta facilmente
Viviamo un’epoca completamente virtuale, dove il mezzo più diffuso è internet, quel mare magnum di notizie che circolano rimbalzando da un social all’altro, dove ognuno può legittimamente provare a dire la propria, a esporre le proprie idee, a scrivere un post o una storia anche soltanto per certificare di esistere.
Ecco che in Italia, ma non solo, stiamo assistendo al fenomeno che vede artisti, attori e cantanti utilizzare i propri profili social per veicolare messaggi ambientalisti, sociali, ma anche politici, soprattutto in tempo di elezioni. Una volta bastava una canzone per dire la propria, oggi si va oltre.
C’era una volta il cantautorato italiano tutto schierato più o meno apertamente da una parte politica: Fossati, Battiato, De Gregori, Guccini, Dalla, De Andrè, Ligabue, Vasco Rossi, solo per citare i mostri sacri della canzone italiana che ci vengono subito in mente. Era un modo di intendere i propri ideali e riprodurli in musica e nessuno ha mai detto nulla sui testi, sulle parole che andavano a formare canzoni inequivocabilmente spostate da una parte. Erano bravi, le canzoni erano belle e siccome abbiamo la pretesa di pensare che la musica dovrebbe essere sempre trasversale, perchè una bella canzone resta comunque una bella canzone, il più delle volte queste canzoni sono diventate popolari, cioè di tutti. Forse soltanto Lucio Battisti poteva essere etichettato diversamente, ma solo perchè cantava un mondo tutto suo, difficilmente collocabile da una parte o dall’altra.
Ma poi sono arrivate le ultime elezioni politiche, quelle che oramai un anno fa hanno visto vincere il centrodestra, allora si è visto tutto un movimento cultural-musicale prendere le distanze, come se da quel momento in poi le canzoni non fossero più belle come prima. “E’ possibile che un partito che è stimato al 27% non abbia nemmeno un sostenitore nel mondo dello spettacolo? Possibile perché dichiarare simpatie di destra gli impedirebbe di lavorare nel mondo dello spettacolo. E’ questa la democrazia?”. Disse l’allora ancora solo leader di Fdi Giorgia Meloni intervenendo in campagna elettorale a Trento. “Nessuno deve essere discriminato, tutti devono avere pari opportunità di partenza e poi dove arrivi dipende da te”.
Non sarebbe neanche la prima volta che la musica comunque viene utilizzata per tirare la volata a questo o a quel candidato politico. E tutto il mondo è paese visto il durissimo scontro nel 2020, quando l’allora candidato alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump utilizzava al termine dei suoi comizi “You Can’t Always Get What You Want” dei Rolling Stones, che scatenò la dura reazione di Mick Jagger in persona o di quando, andando ancora più indietro negli anni, Bruce Springsteen cantava sul palco durante la campagna elettorale di Barak Obama. Il mondo è cambiato, l’avvento di internet e dei social network ha stravolto le relazioni sociali e le relazioni con l’esterno. Anche la musica ne è rimasta influenzata con un nuovo linguaggio e nuovi generi. I cantautori di una volta sono stati affiancati, se non rimpiazzati, dai rapper, dove trap e Hip Hop hanno dato la possibilità di raccontare se stessi a chiunque ne avesse voglia e capacità. Cantautori 2-0 appunto, dove la vita reale fa da filo conduttore a strofe e rime, dove amore, divertimento, passioni, vizi e in fondo anche politica restano i temi portanti di chi ha voglia di dire la sua.
Forse in questo periodo sarebbe davvero pleonastico etichettare ancora i cantanti di destra o di sinistra, sicuramente perchè gli artisti “moderni” scelgono, se ne sentono il bisogno, di esprimere il proprio pensiero non in musica, ma con un post social. Esattamente quello che infatti era accaduto un anno fa nelle ultime “politiche” italiane, quando ci fu la necessità di far sentire la propria voce su quello che era accaduto. Le prime furono Levante e Loredana Berté, poi Elodie, Francesca Michielin, Fedez con tanto di moglie al seguito, Eros Ramazzotti, Chiara Galiazzo, Erica Mou, Francesco Bertoli, Marco Carta, Lodo Guenzi leader degli Stati Social, fino a Renato Zero, uno della vecchia guardia. Ma tutti con un unico comune denominatore: l’eventuale dissenso non in musica, ma con post social e storie su Instagram, perchè poi alla fine dei giochi tutti tengono famiglia. L’unica voce fuori dal coro fu quella di Al Bano che dall’alto della sua esperienza disse semplicemente: “Io ho lavorato per quasi 60 anni e sono sempre stato lontano dalle forze politiche, che fossero di destra o di sinistra”.
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