L’artista e la sua fragilità, il contesto e tutto quello che oggi c’è da dire sulla realtà musicale nazionale contemporanea.
Giovanni Block nasce a Napoli il 21 marzo del 1984, la musica scorre nelle sue vene, e da subito è attratto dalle note e dai testi dei grandi cantautori italiani. De Andrè, Guccini, Gaber le sue grandi passioni. Al Conservatorio di Napoli, la Laurea in Composizione e in Musica applicata. La passione, diventa quindi qualcosa di molto più serio. La musica diventa quindi il suo quotidiano, la sua vita. I testi arrivano, proprio come per i grandi cantautori tanto amati dalla sua storia, dal suo punto di vista, dal contesto.
Quattro gli album all’attivo, il primo nel 2011 “Un posto ideale”, in qualche modo da subito la cifra del talento e dello spessore dell’artista all’esordio sulla grande scena. Seguono “Spot”, del 2016, e Le Metamorfosi di Nanni, del 2021. L’ultimo lavoro è “Retrò”, pubblicato nel 2023 e in qualche modo album manifesto dell’artista. Nel mezzo, tra gli altri, il Premio Siae/Club Tenco nel 2008 e il primo posto al festival Musicultura nel 2009.
Nel 2012, Gianni Mura, compianto giornalista di punta del quotidiano “La Repubblica”, lo inserisce nella lista dei 100 nomi dell’anno. Velvet Music ha incontrato Giovanni Block per fare il punto della situazione, in merito al suo prodigioso affascinante percorso artistico, al presente e anche al futuro.
De Andrè, Guccini, Gaber, “come faccio a fare trap”, quale crede sia il limite reale tra quel passato e questo presente, almeno in campo musicale. Spesso ci si limita a dire, è questa la realtà, ma è forse una realtà senza visione?
La musica è cambiata, i giovani sono cambiati. Prima forse era più semplice cercare e trovare la propria strada, non farsi indicare il percorso da qualcosa di esterno, come oggi, per esempio può fare il web. Oggi certi messaggi appaiono più che mai chiari. La musica, l’arte, hanno la funzione odierna di trascinare verso il prodotto. Prima, forse, si era più liberi di essere, di lasciarsi prendere dalla musica, dagli autori, di scegliere, in qualche modo il proprio percorso musicale. Anche il linguaggio è cambiato, oggi, potrebbe apparire quasi assurdo e controproducente uscire dagli schemi imposti dal mercato. Io però sono fiducioso, e credo che tra qualche anno, anche i più giovani proveranno ad ascoltarmi e a comprendere quello che ho da dire, anche a loro.
Sposami sul mare, uno dei brani di “Retrò” ha una chiave fortemente romantica, anche se affronta un contesto ben preciso, descrive, di fatto una generazione. Musica predominante con tempi da anni sessanta. Come nasce, quali sono le ragioni autentiche di questa sorta di inno?
Tutto nasce dalla musica, è la mia vita, la mia natura, dai miei studi, le mie passioni prende forma ogni cosa. L’omaggio, mio personale, è a quelle atmosfere che un tempo erano capaci di definire, in musica per l’appunto, le immagini, i sentimenti, le malinconie di intere generazioni. Ci sono Gino Paoli e Ennio Morricone in quelle prime note, l’omaggio è a loro e a quella musica che prima voleva dire tanto, forse addirittura troppo per chi l’ascoltava. Poi c’è si, una sorta di inno generazionale. Momenti in cui ci bastava osservare, toccare con mano, per vivere irripetibili emozioni. Oggi invece, tutto è quasi diventato virtuale, i giovani, non conoscono, magari, la sensazione dolce dell’attesa, il contatto, la lunghezza dei tempi. Oggi, un sms, una chat, il tempo è annullato e ci si ritroverà, domani, senza ricordi vivi.
In canzoni come “Vi odio” o “Meritocrazia” sembra esserci in modo assolutamente naturale tanta politica che poi forse in fin dei conti è soltanto denuncia. I migranti, le file allo stadio più lunghe di quelle dei musei quasi simboleggiano una scelta ben precisa, una direzione da prendere, instradare forse in modo subliminale in una direzione prestabilita.
Parlare di politica, in certi ambiti, tirando fuori le proprie sensibilità, può diventare assolutamente naturale, ma al tempo stesso, il tutto rischia di diventare complesso, forse anche troppo. La verità è che questa società è ben indirizzata verso una precisa direzione. Gli stadi pieni e i musei vuoti rappresentano una immagine autentica, reale, concreta. Una immagine che non vuole discriminare un contesto rispetto all’altro ma che simboleggia, di fatto, l’intento della grande distrazione di massa.
La rilevanza, l’imponenza della parte musicale nelle sue canzoni offre in qualche modo un punto di partenza preciso, una indicazione fedele di quella che è la sua stessa produzione. Identità vera e propria, sembrerebbe, qualcosa che si nota in modo forte, quasi quanto le parole.
Gli anni di studio al Conservatorio di Napoli, si fanno sentire, è naturale. Io compongo, scrivo e addirittura produco. L’intento, è quello di entrare quasi educatamente nel quotidiano delle persone, sono disposto, certo a farmi conoscere gradualmente, e magari nel tempo a farmi apprezzare per quello che sono. Il mio percorso artistico non vanta grandi promozioni, campagne social selvagge e quant’altro.
Il mio cammino, la mia strada nel contesto musicale contemporaneo la stabilisco io e come detto in precedenza, sono sicuro che un giorno non saranno pochi i giovani che si avvicineranno ai miei testi, forse finalmente liberi dalla moda musicale del momento che sembra essere ormai l’unica e sola evoluzione della canzone, della composizione musicale.
Come andrà avanti il suo percorso? Dopo “Retrò” cosa l’aspetta, all’indomani di un album che si potrebbe quasi dire manifesto?
Qualche idea c’è, potrebbe arrivare una voglia specifica, una necessità artistica netta, qualcosa che ancora una volta mi aiuti ad avvicinarmi alle persone, che mi consenta di dialogare, di confrontarmi con esse. Non passerà troppo tempo, la voglia di fare, di esprimermi ancora una volta a modo mio è tanta e magari è quello di cui ancora una volta ho bisogno.
Un album, l’ultimo, “Retrò”, che rappresenta semplicemente il manifesto di una generazione, quella nata negli anni ottanta, l’ultima, forse, alla quale è stato concesso di vivere in modo assolutamente naturale, toccando con mano ogni passo, ogni attimo, esperienza. Senza intermediari virtuali, senza scorciatoie. Gli ultimi ad aver assaporato ogni momento, prima dell’arrivo del progresso, del futuro e di qualcosa che rischia di travolgerci, tutti.
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