Il direttore d’orchestra Enrico Melozzi ha ideato e diretto il concertone “La notte dei Serpenti” che sarà trasmesso stasera da Rai 1. L’abbiamo ascoltato in esclusiva.
Enrico Melozzi è un famoso direttore d’orchestra abruzzese, volto noto anche di cinema e televisione. L’abbiamo intervistato in occasione dell’evento trasmesso stasera sulla tv di Stato.
La Notte dei Serpenti, si è svolta la prima edizione. Che esperienza è stata e come è nata questa idea?
“È stata un’esperienza travolgente, ormai sono avvezzo a esperienze musicalmente estreme. È stata toccante perché ho rispolverato antiche memorie della mia infanzia dove conoscevo questi brani che ho riarrangiato e riscritto. Da piccolo cantavo nel coro folkloristico di Teramo e ho imparato lì questi brani, trasformandoli per un pubblico più moderno. Quei pezzi oggi non hanno appeal, sono stati arrangiati in un periodo in cui la formazione musicale non era il massimo, dove c’era un po’ di ignoranza. Queste melodie meravigliose erano arrangiate un po’ così, non ci restituivano il fascino che con queste novità curate bene hanno preso un colore differente. C’è stato un entusiasmo mostruoso degli abruzzesi che si sono emozionati per questi brani. L’entusiasmo è tutto mio perché la messa in onda su Rai 1 non è del tutto scontata. La prima edizione è stata attenzionata dall’ammiraglia delle reti nazionali con una qualità di registrazione pazzesca, un lavoro stupendo anche tecnicamente. Merita di essere visto e goduto da tutti quanti”.
Perché ha deciso di chiamare questo evento La Notte dei Serpenti?
“Quando mi hanno chiesto di fare un progetto per rilanciare la cultura della tradizione abruzzese la prima cosa che ho dovuto affrontare è stato come chiamarlo per comunicarlo. Ho fatto dei ragionamenti con semiologi e persone che si intendono di simbologia e, dopo aver messo già anche centinaia di possibilità, la più bella, spontanea e vera era quella del serpente. Il serpente oltre a simboleggiare il tamburello, l’infinito e tante altre cose esoretiche è il simbolo dell’Abruzzo. A Cocullo si svolge la festa dei serpari il primo maggio di ogni anno e vengono raccolti tutti i serpenti che ci sono, senza fargli del male, e messi sulla statua del Santo che gira per le strade della città. C’è una simbologia incredibile tra sacro, profano e la natura. Ho pensato che quello fosse il simbolo più forte in Abruzzo e pensare che all’estero ci conoscono per questo, e molte persone vengono per seguirlo da tutto il mondo soprattutto tv come BBC e National Geographic che vengono ogni anno, mentre in Italia si sente parlare meno dell’evento. Serviva per dare una percezione dell’Abruzzo diversa più cool, più aggressiva, più rock”.
C’era anche Gianluca Grignani con il quale ha lavorato per Sanremo non solo dirigendo il suo brano ma aiutandolo a scrivere in testo e musica. Se ci racconta qualcosa…
“Con Gianluca ci conosciamo da tempo. L’abbiamo portato a La Notte dei Serpenti in quanto il co-autore, io, è abruzzese. L’abbiamo registrata nella notte di Natale in Abruzzo. Siamo stati insieme la notte di Natale a casa mia, “Natale a Casa Meluzzo”, e siamo finiti a registrare il giorno dopo. È stata una bella esperienza umana, siamo molto amici e così ha deciso di prestare la sua voce e la sua musica”.
Interessante è capire come nasce la scrittura di un testo e la musica di un brano. Come lavorano insieme due artisti per arrivare al testo finale?
“Si prende una prima bozza, cantando e suonando insieme. Piano piano si lavora su questa. Il musicista è come un cane da tartufi e fiuta dove la musica vuole andare. Le prime bozze sono dure e spigolose, poi si trova l’accordo migliore per farla arrivare meglio alla gente, la parola che non gira e si cambia. Lì con occhio critico si fa l’avvocato del diavolo. Appena il brano rallenta si va a risolvere il problema, facendolo scorrere, aggiungendo olio con la riscrittura e l’arrangiamento. Se un brano dura quattro minuti e sembra ne duri otto non va bene, quando un brano dura quattro minuti è perfetto. Per fare questa cosa si sostituiscono accordi e si lavoro. Il brano di Gianluca è uno dei più grandi per armonie, ha una sfilza di accordi che non finiscono mai. Allo stesso tempo tutto è molto fluido, il brano è umano e intimo. È alto ma non te lo fa capire, te ne accorgi alla fine del pezzo di essere arrivato in cima a una montagna ma fai lo sforzo di arrivarci. Il lavoro fatto dietro è subliminale e quando nessuno se ne accorge di niente, partendo dal mi minore e sei finito al si maggiore hai fatto un volo pindarico fantastico in mezzo che consente di guardare più paesaggi e panorami, senza fare lo sforzo di viaggiare però. Questo è quello che abbiamo fatto insieme con Gianluca. Diverse notti abbiamo rielaborato le armonie, abbiamo cercato problemi e trovate soluzioni. Un brano fatto anche di attese. Lavorare a una canzone è molto più difficile che lavorare a una sinfonia e te lo dice uno che ci ha lavorato sulle sinfonie. Non è uno scherzo, proprio perché è più breve e rivolto a un pubblico generalista come quello di Rai 1 si deve stare molto attenti”.
In che stato è la musica italiana in questo momento?
“Per certi versi la musica italiana è in stato di agonia, ma c’è stata un’inversione di tendenza negli ultimi anni come per esempio coi Maneskin si è tornato molto a gruppi giovanili che suonano molto. Dopo l’esplosione dell’autotune si è tornati a suonare, un ritorno possiamo dire. I giovani approcciano la musica con rispetto e secondo me ci possiamo salvare. Dire che siamo in salute però è sbagliato. La musica italiana è un malato grave che si può salvare”.
Ha scritto colonne sonore per film, teatro e serie tv. Qual è la differenza?
“Si scrive tutto in maniera diversa. Già se mi chiedono di arrangiare brani per Rai 1, Rai 2 e Rai 3 li scrivo differentemente, pensa se si fa cinema o teatro o tv. La musica in teatro per esempio dipende dall’impianto, si deve lavorare affinché non si copra la voce dell’attore, magari con più piste dislocate in diverse parti del teatro. Col cinema è differente in base al tipo di film devi inventare un linguaggio. Sicuramente quest’ultimo è un luogo di sperimentazione, popolare, ci consente di sperimentare tanto di fronte a un grande pubblico, uno dei posti rimasti sani. La televisione è ancora differente e ha più regole rispetto al cinema, lavora molto sull’ascolto”.