La sua gavetta è durata quasi cinquant’anni, Sixto Rodriguez deve la sua fama a un documentario che risale a dieci anni fa: è morto a 81 anni…
Tra le tante storie di rock’n’roll che meritano di essere approfondite c’è sicuramente quella di Sixto Rodriguez, un cantautore americano di origine messicana semisconosciuto nonostante le sue indubbie qualità artistiche e di composizione, che deve la sua fama a un documentario premiato durante la notte degli Oscar nel 2012 quando ormai aveva settant’anni.
Prima di allora il mondo mainstream del rock and roll lo aveva quasi del tutto ignorato: una vita oscura che aveva vissuto molto lontano dalle luci della ribalta suonando per pochi dollari giorno per giorno, show dopo show.
Incredibile il modo in cui l’industria americana decise di riabilitarlo concedendogli quell’attenzione e quel successo che avrebbe meritato molti anni prima della pubblicazione di Searching for Sugar Man.
Splendido chitarrista autodidatta, ammise di non conoscere la musica, di non saperla leggere e di suonare esclusivamente a orecchio, Sixto Diaz Rodriguez è uno di quei personaggi che meritano di essere raccontati in modo approfondito perché la sua vita è stata veramente degna di un film.
Si spostava di città in città quando aveva i soldi per farlo; viveva come capitava, spesso suonando agli angoli delle strade, guadagnando quel tanto che bastava per sopravvivere. E visse così per decenni. Inconsapevole di quello che le sue canzoni ispiravano a migliaia di chilometri di distanza.
Rodriguez tuttavia ebbe la fortuna di registrare due album decenti, in studio, solo due volte nella sua vita quando firmò il suo primo contratto discografico che gli concesse una piccola rendita che lui investì nella realizzazione delle sue idee. Pubblicò Cold Fact (1970) e Coming From Reality (1971). All’epoca incidere un disco se non avevi una grande casa discografica che ti consentiva di distribuirlo e promuoverlo, era una soddisfazione fine a se stessa: nessuno si accorgeva di te. Rodriguez era un grande autore: ma non amava l’idea di esibirsi in pubblico.
Nessuno sa spiegare che cosa sia successo fatto sta che il suo disco, probabilmente per iniziativa di qualche disc jockey, finisce improvvisamente in programmazione in Australia: dieci anni dopo la sua programmazione. E Cold Fact, che era un album meraviglioso, diventa un successo del tutto imprevisto, anche perché tutti ritengono che Rodriguez sia morto dopo i primi due dischi. In un’epoca senza Internet e i social tutto viaggia più lentamente. E otto anni dopo il suo primo disco Sixto Rodriguez viene rintracciato e invitato a suonare in alcuni Festival estremamente importanti aprendo a superstar australiane di prima grandezza come per esempio i Midnight Oil.
Nel 1979 si presenta sul palco del più importante festival rock australiano, a Sydney. Gli chiedono di suonare tutto il disco, dall’inizio alla fine. Lui sale sul palco, balbetta poche frasi di scuse, suona, si commuove: “Otto anni dopo sono qui. Non ci posso credere….”
I suoi brani sono lontanissimi da quanto l’industria del rock radiofonico degli anni ‘80 e ‘90 volesse proporre. Sono canzoni estremamente impegnate, di lotta sociale contesti rabbiosi che non fanno assolutamente rimpiangere brani di Bob Dylan, John Baez, Neil Young.
Un’altra cosa che Sixto Rodriguez non sa è che in modo sempre assolutamente inspiegabile uno dei suoi due dischi è diventato sigla del movimento anti-apartheid in Sudafrica e che alcune delle sue canzoni sono cantate nelle scuole di un paese che è radicalmente cambiato anche grazie alla sua musica. In Sudafrica hanno perfettamente capito quello che era il suo messaggio di venti anni prima. E anche lì pensano che sia morto, dopo la realizzazione del suo secondo disco.
In Sudafrica tutti conoscono Sixto Rodriguez, o meglio… le sue canzoni: nessuno sa chi sia. Fino a quando un agente non lo rintraccia poco lontano da Memphis – sta suonando in un centro sociale per alcuni disoccupati – e lo trasferisce in prima classe a Johannesburg. Le stesse canzoni del 1970, che avevano avuto un primo successo nel 1978 a Sydney, riecheggiano in Sudafrica nel 1998 davanti a una folla immensa.
Una storia del genere merita di essere raccontata. E questo accade quando il regista svedese di origine africana Malik Bendjelloul pubblica Searching for Sugar Man, un documentario che racconta la storia di Sixto Rodriguez attraverso gli occhi degli attivisti sudafricani che cantavano le sue canzoni mentre il suo autore faceva la fame e tutti pensavano che fosse morto.
Sixto Rodriguez ospite da David Letterman
Arriva la fama definitiva. Finalmente i teatri, le tournee organizzate, i conti pagati: anche se Sixto ha più di 70 anni. Con lui vogliono suonare tutti i più grandi autori che hanno avuto una vita simile alla sua, ma per scelta consapevole. Neil Young, Dave Matthews, George Thorogood…
Sixto Rodriguez era di origine messicana ma era è cresciuto in una famiglia della classe operaia di Detroit, nel Michigan. Suo padre lavorava come operaio in una delle numerose fabbriche automobilistiche della città. Sua madre in casa ascoltava Bob Dylan. E lui ne rimane profondamente influenzato. Anche se il suo stile narrativo è completamente diverso: “Le sue rime sono quelle di un cazzo di genio – dirà di lui Clarence Avant, scomparso anche lui due giorni fa, il primo che lo mette sotto contratto – aveva il veleno nelle dita. Era caustico, corrosivo e non aveva paura di dire le cose”.
Ma Rodriguez, che aveva invece paura di esibirsi e temeva con la sua arte di mettere in difficoltà o in imbarazzo i suoi genitori, detestava l’aspetto pubblico dell’attività artistica. Inizialmente cambiò nome esibendosi sotto il nome di Rod Riguez. Avant produce i suoi primi due dischi nei quali spiccano Inner City Blues, una canzone che racconta la vita degli operai nella catena di montaggio, This Is Not a Song, It’s an Outburst: Or, the Establishment Blues, che parla di Vietnam e dei reduci, e Sugar Man che parla della droga, intesa non come liberazione ma come schiavizzazione di menti che chiedono solo di essere troppo libere. È un brano meraviglioso che molti ritengono addirittura superiore al Tambourine Man di Bob Dylan.
Ma un conto è scrivere capolavori, un altro è presentarli al pubblico e farsi pagare per eseguirli… “In questo indubbiamente Sixto aveva delle difficoltà – raccontava del suo artista Clarence Avant – sembrava quasi che i soldi gli dessero fastidio, che essere riconosciuto per quello che scriveva non fosse un onore. Credo non abbia mai considerato che il suo fosse un vero e proprio lavoro e che meritasse di viverne, e viverne bene…”
Una storia davvero incredibile che tuttavia, grazie al documentario Searching for Sugar Man ha acconsentito a Sixto Rodriguez di vivere gli ultimi 10 anni della sua esistenza nella popolarità nonostante non abbia mai realizzato nuovi album dopo i due pubblicati per Avant tra il 1970 e il 1971.
Eppure il suo archivio personale parla di oltre 300 canzoni scritte, mai registrate, molte delle quali eseguite dal vivo una sola volta, spesso lo stesso giorno in cui le aveva composte o improvvisate per strada o in albergo…
Negli ultimi anni aveva avuto molti problemi di salute. L’annuncio della sua morte, due righe sul suo account ufficiale di Instagram – in circostanze non rese note – è silenziosa e schiva. Lontana dal flusso del mainstream almeno quanto la sua esistenza. A ricordarlo decine di artisti che, altrettanto silenziosamente, si sono dati appuntamento al Majestic Theatre di Detroit, per suonare le sue canzoni.
Il Nameless Festival è un'esperienza a 360 gradi, che combina la passione per la buona…
Rivelata la classifica inedita dei Rapper italiani più ricchi: ecco chi guadagna di più di…
Alice ha continuato a evolversi come artista, mantenendo viva la sua passione per la musica…
Self Control compie 40 anni e Raf parla del lato oscuro della canzone di fama…
I biglietti del tour di Annalisa stanno andando sold out ma per Milano ci sono…
Un altro anno di grande musica nel cuore verde d'Italia, che quest'anno ospiterà diversi nomi…