Abbiamo contattato telefonicamente Simone Cristicchi, cantautore vincitore del Festival di Sanremo 2007 con “Ti regalerò una rosa”, attualmente impegnato in libreria col suo primo romanzo “Il Secondo Figlio di Dio” e a teatro con lo spettacolo omonimo.
Simone Cristicchi è un cantautore molto apprezzato da pubblico e critica (tra i riconoscimenti spiccano la Targa Tenco nel 2006 e la vittoria al Festival di Sanremo 2007) ma è anche molto di più: scrittore, autore ed interprete di monologhi teatrali. Il 15 novembre scorso è uscito il suo primo romanzo – intitolato Il Secondo Figlio di Dio ed edito da Mondadori – sulla storia di David Lazzaretti, “l’ultimo eretico” (un predicatore che, nell’Ottocento, fondò una comunità di fedeli sul Monte Amiata, dando vita al movimento “giurisdavidico”). Lo spettacolo teatrale omonimo è in programma fino al 4 dicembre al Teatro Carcano di Milano. Ne abbiamo parlato proprio con lui in esclusiva.
La storia di David Lazzaretti è una storia molto particolare. Come è nato l’interesse per le sue vicende?
Io ho frequentato molto il territorio del Monte Amiata per il mio lavoro di ricerca sulle storie dei minatori. Ho così scoperto che, in quella zona, resiste ancora il culto ed il ricordo di questo uomo straordinario, che lasciò un segno profondo nella popolazione locale. Ancora oggi, in quelle zone, Lazzaretti viene reputato una sorta di santo e a lui sono dedicati un centro studi ed un piccolo museo nel castello di Arcidosso. La sua figura mi ha incuriosito perché era poco conosciuta al resto d’Italia, pur essendo una sorta di precursore di alcune istanze poi emerse 100 anni dopo.
Come sta andando lo spettacolo teatrale?
Io ho scommesso su questa storia perché ha un valore universale. La sua vita è già simile ad un romanzo: è l’avventura di un uomo che insegue la sua visione di mondo e lotta fino al sacrificio estremo per poterla realizzare. Le sue vicende possono riguardare ciascuno di noi. Per questo motivo, il pubblico ha reagito bene fin dalle prime repliche. C’è stata una grande partecipazione del pubblico, anche per merito delle scenografie.
Il teatro ha sempre rivestito un ruolo importante nel corso della tua multiforme carriera. Come riesci a coniugare le tue diverse anime artistiche?
Nel 2010 ho iniziato a fare i primi esperimenti a teatro ed è stata la risposta del pubblico a spingermi a continuare. Nei miei concerti ho inserito aspetti più teatrali e nei miei monologhi teatrali ho inserito la musica, trovando ora la quadratura del cerchio in quello che noi definiamo “musical civile”, che nasce dal teatro civile di Marco Paolini ma che, nel mio modo personale di raccontare le storie, è per l’appunto ‘contaminato’ dalla musica.
Nella canzone “Il sipario” parlavi della morte dei teatri “nell’indifferenza dei numeri, nell’ottusità di questi tempi, velocemente immobili, in un mondo ormai in 16:9 e famiglie abbonate a divani con le mani ormai piene di telecomandi e visioni in 3D”. Puoi dirci di più?
Ho assistito alla chiusura di tre piccoli teatri, che necessitavano solo di un piccolo sostegno da parte delle Istituzioni. Chiudere un teatro è sempre un piccolo lutto per una comunità, perché si preclude ai giovani l’accesso a quel mondo. I giovani studenti delle scuole, molto spesso, vengono ‘deportati’ a teatro a vedere spettacoli di tre ore e questo crea un danno enorme perché loro lo percepiscono come una tortura e, quindi, non torneranno più a teatro in futuro.
Passiamo ora alla musica. Il tuo ultimo album risale al 2013. Hai in progetto un nuovo disco?
Al momento, non è prevista l’uscita di un disco nell’immediato futuro. Parallelamente al mio lavoro a teatro, però, sto continuando a fare concerti e anche altri esperimenti musicali sul palco, come l’interpretazione de La Buona Novella di De André con un’orchestra sinfonica oppure l’omaggio a Sergio Endrigo. Per quanto riguarda un nuovo progetto discografico, arriverà quando torneranno l’ispirazione e la voglia di rimettermi in gioco nella discografia. Il teatro, in questo momento, mi ha completamente rapito ed è bello, ora, raccogliere i frutti del duro lavoro fatto in passato.
Fin dai tempi di “Vorrei cantare come Biagio Antonacci”, ma anche in “Ombrelloni” e “Fabbricante di canzoni”, hai sempre criticato con la tua consueta ironia il mondo della discografia musicale che, oggi, fa sempre più rima con talent show. Tu cosa ne pensi?
Il talent show è un’arma a doppio taglio: può essere un trampolino importante per chi ha veramente talento ma, allo stesso tempo, taglia le gambe a chi ha investito tempo, denaro e passione in un percorso che sembra debba per forza passare da quell’imbuto. Ci sono, invece, tanti esempi di chi ce la fa con le proprie gambe: penso a Le Luci della Centrale Elettrica, Lo Stato Sociale e The Giornalisti ad esempio, che sono riusciti a crearsi un pubblico senza passare dalla tv. Ovviamente, però, i numeri sono diversi. Allo stesso modo, ci sono artisti usciti da X Factor che hanno ‘senso’ e che sono riusciti a costruirsi una carriera di successo, come Marco Mengoni. Ciò che a me dà più fastidio dei talent show è che per il 98% si cantano brani di musica straniera. In Italia, come repertorio musicale, non abbiamo nulla da invidiare agli altri. Personalmente, mi piacerebbe che facessero un talent show esclusivamente dedicato ai cantautori. Ne sarei felicissimo, e non è detto che non ci stiano già pensando… Sarebbe un modo per avvicinare ancora di più il pubblico televisivo alla musica. Oggi, oltre a X Factor, l’unico spazio in tv per cantare una canzone è rimasto Domenica In!
A febbraio tornerà il Festival di Sanremo, che ha rappresentato in più occasioni uno snodo cruciale nel corso della tua carriera musicale. Raccontaci la tua esperienza (anzi, le tue esperienze) sul palco dell’Ariston…
Sanremo per me è stata un’enorme fortuna e mi riferisco, in particolare, all’edizione 2007. In quel periodo, il rischio di passare come ‘meteora’ dopo il tormentone estivo Vorrei cantare come Biagio Antonacci era presente perché io ero divenuto molto popolare, ma non di successo. C’è voluto molto tempo per riuscire a rimettere a posto il castello che avevo costruito e che era andato in frantumi con quel tormentone. Arrivò, per fortuna e per ispirazione, la canzone Ti regalerò una rosa, grazie alla quale mi fu dato modo di far conoscere il mio lato di scrittura più ricercato e poetico. È proprio grazie a questa canzone che ho avuto modo di sviluppare, poi, il mio percorso artistico. Successivamente, sono tornato all’Ariston con alterne fortune. Non sono stato in grado di ripetere quell’alchimia nata nel 2007, quando riuscii a mettere d’accordo critica e pubblico.
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