Parlare con Eman può portare a toccare temi importanti, che poi sono anche quelli trattati nelle sue canzoni (dalla disoccupazione, ai problemi del Sud d’Italia, fino al “conflitto generazionale” tra padri e figli), ma il cantautore ha la capacità di spiegare il suo punto di vista con serenità e una lucida analisi, senza ricorrere necessariamente alla polemica, come spesso accade quando si parla di argomenti del genere. Sembra cercare, piuttosto, di trovare il modo per uscire dalle situazioni più dolorose, per individuare una via di fuga, un modo per farcela, anche quando tutto sembra remare contro. Questo, per lo meno, ciò che è emerso durante la nostra intervista.
Un artista da seguire, perché molti indizi lasciano presagire che sentiremo parlare di lui sempre più spesso. Lo suggerisce, ad esempio, la fusione sapiente e ponderata di parole e note, dosate con il giusto gioco di equilibri, già dimostrato con il singolo estivo Giorno e notte e poi confermato con il suo ultimo brano approdato in radio e in digital download, ovvero Amen. Una canzone, questa, intensa, in cui sembra che nessuna parola sia lasciata al caso, e se a far “accendere la miccia” è stata una riflessione autobiografica, il suo testo è praticamente un’istantanea di un’intera generazione, più o meno quella dei figli degli anni ’80.
“Ho visto di spalle una parte di me, ho impiegato degli anni per perdermi, ho visto del falso anche dentro di te, ho ucciso dei sogni per crederti“, canta Eman nel suo ultimo singolo, facendosi portavoce di tanti suoi coetanei (ricordiamo che lui è nato a Catanzaro nel 1983). A fare da ciliegina sulla torta, poi, il video ufficiale del brano, diretto da Mauro Russo, che quest’anno si è occupato di molti dei migliori videoclip realizzati dai Big della musica italiana. Anche con il video di Amen, che vi mostriamo di seguito, Russo non ha deluso le aspettative, realizzando un lavoro insolito e coerente con le intenzioni del pezzo, con un finale inaspettato che lascia la voglia di rivedere tutto dal principio per cogliere sfumature sfuggite ad una prima visione.
Oltre un milione e mezzo di visualizzazioni su YouTube, migliaia di sostenitori su Facebook (e molti altri fuori dalla Rete), un contratto con la Sony Music: non male per un artista che, come ha ricordato lui stesso, ha dovuto combattere con le difficoltà tipiche di chi vuole emergere partendo dalla Calabria e, più in generale, dal Sud d’Italia. Eppure lui parla di questa fase della sua vita senza volare troppo in alto con la fantasia, ma rimanendo con i piedi ben saldi a terra. Un punto di partenza e non di arrivo, insomma.
Eman, al secolo Emanuele Aceto, passa con tranquillità dal reggae al dark, dall’elettro-rock alla musica d’autore contemporanea, senza farsi mancare influenze dal sapore internazionale. Se da un lato questo è un vantaggio, perché tale trasversalità gli permette di arrivare ad un bacino di pubblico più ampio, non potrebbe anche essere pericoloso il fatto di non poter essere “etichettabile”? “Nel 2015 può anche essere utile avere un genere di riferimento – ha spiegato lui – ma la musica ora è davvero piena di influenze. In fondo, più mezzi hai per comunicare, più sono le persone che possono ascoltarti e a me interessa diffondere il più possibile i miei messaggi”.
“Ho sempre pensato che il linguaggio di Fabrizio De André possa non essere più così funzionale oggi – ha proseguito – il modo in cui devi comunicare con gli altri cambia nel tempo. Ho scoperto il raggae soprattutto per la sua capacità di adattare la metrica alla melodia. Poi nella mia città si ascolta altamente. Ma non ho mai sentito “mio” un solo genere, i miei ascolti sono vari”. E’ stata proprio l’uscita di Amen che ci ha dato lo spunto per parlare con lui della genesi del brano, ma anche del suo lavoro e dei suoi progetti presenti e futuri. Ecco cosa ci ha raccontato.
Com’è nata questa canzone?
E’ uno dei brani più ispirati, perché contrariamente a quanto si pensa spesso, questa ispirazione non c’è sempre, quando si prepara un disco. Amen invece è nato in modo veloce, dopo l’invio della strumentale, creata da Skeggia, il produttore con cui collaboro abitualmente. Sarà che sono arrivate le note giuste al momento giusto, sarà che uscivo da un periodo un po’ “scuro”…Poi si è aggiunta anche la collaborazione con Fabrizio Ferraguzzo, un giovane produttore italiano che è tra i migliori in circolo attualmente, ed è stata una fortuna. Il brano, che comunque è nato due anni prima della sua uscita, parla delle difficoltà dei trentenni di oggi, di lauree non sfruttate pienamente, di quelli ormai definiti “bamboccioni”…
Le parole del testo sono forti, così come i temi affrontati. Nel video c’è anche qualche riferimento alla disabilità, alla violenza sulle donne…eppure il messaggio non è completamente negativo. Anzi, sembra esserci spazio, in qualche modo, anche per la speranza.
Sì, il messaggio è forte, ma non triste. Ci ritroviamo un mondo che non è quello che ci avevano promesso, ma “padre, se non do il mio meglio puoi uccidermi”, ovvero “non potrai uccidermi, perché ho dato il mio meglio“. Il fondo della bottiglia è un posto scomodo, lo dico da persona del Sud, ma la fine della bottiglia c’è, anche se non si vede. Certe scelte a volte sembrano sbagliate, ma è importante capire che anche gli errori servono a crescere.
Spesso un cantautore si mette “a nudo” davanti a chi lo ascolta. Non è mai un problema per te mostrare così tanti aspetti del tuo carattere, della tua vita personale, dei tuoi pensieri?
Rispetto a prima, ora ho capito che tutti siamo più o meno simili e chi scrive ha solo la capacità di farlo. Più ti metti a nudo più sei interessante, perché ti fai interprete di quello che vivono gli altri.
Com’è andato il lavoro per il video?
Avevamo poco tempo a disposizione, ma c’è stato un bel lavoro di gruppo e sono stato messo a mio agio. Volevamo dare un taglio insolito al video e ce l’abbiamo fatta. Volevo che fossero affrontate una serie di tematiche che solitamente vengono escluse, magari per fare largo alla spettacolarizzazione della figura dell’artista. Ma noi siamo solamente un mezzo, in fondo.
Amen anticipa un nuovo album, giusto?
Sì, dovrebbe dovrebbe uscire a inizio 2016
Hai in programma nuovi concerti?
Sì, ci siamo cimentati in un progetto simpatico con due miei amici, ovvero un live acustico insolito. Io uso molta elettronica nella mia produzione, quindi riprodurlo con due chitarre acustiche è più complicato ma porta anche a rivedere tutto sotto un’altra luce.
Il rapporto con la tua terra sembra sempre molto forte. Quali sono i limiti e i vantaggi, per chi cresce in Calabria?
I limiti sono evidenti, mentre i vantaggi a volte non si vedono ma sono tanti. Il fatto di non avere molte cose, ad esempio, ti tiene vivo, ti spinge ad avere “fame”. Mi ha dato una forte immaginazione. Non tanto a livello politico…ma, diciamo, a livello antropologico hai nel “micro” una visione del “macro”. Vedi più velocemente e chiaramente ciò che è deviato e sbagliato, ciò che è bello e non viene sfruttato.
E’ un discorso che vale anche per il Sud in generale: abbiamo uno sguardo più lucido, forse. In più cresci con la paura che “se non studi diventi un disoccupato”, come ti dicono spesso! Ma io ho visto mio padre fare un lavoro onesto e pagare le stesse tasse dei genitori di Verona o Milano e crescere un figlio che non aveva le stesse opportunità dei ragazzi del Nord. Il calabrese deve superare dei limiti, dei preconcetti…è un lavoro più duro e pesante che in altre parti d’Italia.
Cosa ci racconti di Giorno e notte?
Il genere è più…“estivo”, anche se non mi piace troppo attribuire le canzoni alle stagioni – ride – Era un pezzo un po’ vecchiotto e abbiamo pensato di dargli una rinfrescata. Sembra più leggero rispetto a Amen, ma ho provato a fare una canzone che avesse anche un certo peso e spessore.
Come hai vissuto il passaggio alla Sony? E’ una bella soddisfazione…
L’ho presa come una conferma che le cose che faccio piacciono. Se qualcuno che fa questo di lavoro ti dice che sei bravo a farlo, beh…fa piacere! Ma non mi illudo. Non ho “mire di gloria” e so di essere un privilegiato per il fatto di essere pagato per fare quello che amo. Per ora, quindi, penso solo a farlo bene e a dare il massimo. Ma penso anche di poter fare sempre meglio, di poter trovare una musica ancora più bella. Penso sia più che altro un punto di partenza.
E come hanno preso la cosa, invece, amici e parenti?
Il cane è quello che soffre di più quando sto via da casa! – ride – I miei genitori sono stati contenti, in fondo hanno visto il figlio mollare gli studi in ingegneria a metà percorso per fare altro…Gli amici che ci hanno sempre creduto, invece, mi sostengono ancora.
Foto: Facebook
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