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Fred De Palma, BoyFred: “Un disco per spiegare chi sono e ciò che non scordo” [INTERVISTA]

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BoyFred è il titolo del nuovo album di Fred De Palma, il primo pubblicato con la Warner Music, e segna un nuovo capitolo nel percorso artistico del rapper, che a soli 25 anni può vantare già una lunga gavetta in strada, fatta di contest e battle tra freestyle ed extrabeat, come ricorda lui stesso nel disco. Sono passati 5 anni da allora, “ma sembrano 10”, come ha spiegato lui nella nostra intervista.

Dai tempi degli esordi ad oggi sono aumentati i suoi fan, si sono moltiplicate le serate live, ci sono stati gli incontri instore, i dischi, e lui ha sentito il bisogno di fermare tutto nero su bianco, nel modo che gli è più congeniale, ovvero con le sue rime. BoyFred è una sorta di diario personale in cui ha voluto “buttare dentro” ciò che è stato e ciò che è, per spiegare meglio a chi ascolta da dove viene e dove vuole andare: “Non avevo ancora fatto un disco che parlasse completamente di me – ha spiegato – è come se avessi dichiarato: ‘io sono così’, in modo tale che sia chiaro quando avrò altro da dire in futuro”.

Quattordici tracce, che partono da riflessioni intime sulla propria vita per poi allargarsi a sentimenti contrastanti (tra rabbia, amore, sete di rivalsa, dolore e spensieratezza) che possono essere avvertiti come comuni da chi ascolta. Sono in molti, ad esempio, ad essersi ritrovati nella traccia Stanza 365, secondo singolo estratto dal disco: “Ci sono persone che mi hanno scritto messaggi in cui mi hanno raccontano quanto questa canzone li abbia aiutati ad affrontare delle vicende della vita molto simili – ci ha raccontato – ed era quello che volevo che accadesse”.

“In questo periodo si è molto attaccati alle visualizzazioni su Youtube – ha proseguito – ormai per un artista il ‘like’ è quasi una ‘moneta’. Ma si rischia di perdere il fattore qualitativo: ci sono pezzi che fanno il boom in Rete, su Youtube…poi magari chi l’ascolta ti scrive cose che non c’entrano. Invece per Stanza 365 ho letto tanti messaggi scritti da chi ha ascoltato il pezzo e l’ha capito. Ricordando che Fred, al secolo Federico Palana, sarà protagonista di un dj set il 24 ottobre al RAL8022 per l’MTV Music Week ospitata a Milano, riportiamo di seguito l’intervista in cui ha spiegato meglio il suo ultimo progetto.

Un aspetto di BoyFred che ha colpito un po’ tutti è che al suo interno non sono stati inseriti featuring.
Non è una mossa molto commerciale, lo so. Anche artisti che vendono migliaia di centinaia di dischi spesso usano le collaborazioni per allargare il bacino d’utenza. Ma io volevo fare un disco che mi rappresentasse, che raccontasse qualcosa che forse nessuno avrebbe voluto raccontare come volevo farlo io. Inoltre nell’hip hop, ancora di più rispetto agli altri generi musicali, il pubblico spesso si affeziona all’artista, alla sua storia. Se si lavora nell’ottica del marketing, ovviamente, il parametro delle scelte cambia. Ma a livello artistico ho preferito così.

Com’è andato il lavoro sull’album? Solitamente tu lavori molto sulla scia del flusso artistico, senza tornare troppo sopra a un brano.
Mi viene molto spontaneo fare la rima elaborata. Serenata Trap, per esempio, l’ho buttata giù in hotel! Non ho mai cambiato un pezzo: quando scrivo una canzone e la finisco se sento di aver creato quello che volevo cambiandola rischierei di rovinare tutto. Solitamente se vedo che un pezzo “non arriva” non lo finisco neanche.

A proposito di Serenata Trap: com’è nata questa canzone? Jovanotti ti ha ispirato?
Lui è un’artista versatile e molto bravo, quando riesci a sopravvivere così a lungo nell’ambiente discografico vuol dire che hai trasmesso qualcosa in più degli altri. Serenata Trap è nata per raccontare cos’è successo vent’anni dopo il pezzo di Jovanotti. E’ come se fosse una versione 2.0 di quel tipo di musica, senza pretendere per questo che sia migliore. Serve solo a rappresentare un periodo: ora è il “trap” che va per la maggiore (un misto di elettropop e rap, per semplificare il genere a cui si fa riferimento n.d.r).

In Non scordare mai c’è una frase che forse è tra le più significative dell’album: “Eri fatto in strada, ora hai fatto strada”. Alla luce di quello che è cambiato nella tua vita, cosa conservi rispetto ai tempi degli esordi?
Quando ho iniziato la musica era al centro dei miei interessi, ma non era il mio lavoro. Facevo ogni weekend gare di freestyle, un po’ per avere prestigio all’interno “dell’eco sistema” un po’ per vincere i soldi in palio e potermi mantenere. Ero a contatto con molta gente. Non scordare mai parla un po’ di questo: il ritornello è quasi la voce di tutte le persone che ho incontrato in questi 5 anni e che ogni volta che possono mi ricordano quei sogni e da dove sono venuto. Non devo dimenticare la fame che avevo “di arrivare”.

Quello che sto vivendo è un bell’inizio, ma ovviamente non posso dire di essere arrivato, quindi quella fame deve rimanere per sempre. La popolarità a volte è un nemico, in questo senso, ma cerco sempre di vederla come passeggera: oggi mi chiedono foto e autografi, mi fanno complimenti per il disco, ma non è un punto di arrivo. Rimani dove sei se non fai un “salto” in avanti con ogni disco.

Quando è uscito Stanza 365 hai scritto un lungo post su Facebook, in cui ha specificato di averla composta in un momento in cui eri disperato.
Prima che esca una mia canzone sono un po’ in paranoia: il pubblico italiano è strano, non sai mai se capirà quello che vuoi dire o se si fermerà all’apparenza. Così mi piace spiegare i pezzi prima che escano. Ho avuto un feedback pazzesco con questo singolo, forse non mi era mai successo prima così. Solo che se fai pezzi profondi come Stanza 365 e poi fai video divertenti capita che chi ti ascolta a volte si sorprenda. In realtà è normale: fare cose sempre uguali è più incoerente che farne di diverse. Tutti siamo soggetti a sbalzi d’umore nella vita, questo si rispecchia semplicemente nelle canzoni.

Il disco si apre con Dov’eri tu?. A che genere di artisti ti riferisci?
Molta gente agli inizi snobbava quello che facevo, non gli dava peso, mi diceva di lasciar perdere. Persone che avevano fatto successo, poi il loro percorso si è rivelato inconcludente. Canto: “Sono venuto a vedere i tuoi live…prima tutti saltavano sotto al palco, adesso ai tuoi live salta solo il tuo concerto. Anche la rivalsa fa sempre parte di quella “fame” a cui mi riferivo, ma se avessi voluto far male a qualcuno avrei messo nome e cognome. E’ un modo per parlare di un altro periodo della mia vita: ci sono state persone che hanno creduto in me e persone che non l’hanno fatto.

Hai un largo seguito, eppure non ricerchi la visibilità forzatamente con ospitate in tv, talent, gossip…
Lo trovo un po’ un modo per svalutare la propria musica, rischi di cadere nel “tronismo”. Ho avuto delle proposte per i talent, sono stato chiamato per andare a fare musica in tv come concorrente, ma ho sempre rifiutato. Senza “spocchia”, anzi: sono stato settimane intere senza dormire per questa scelta. Hai comunque davanti un ascensore che ti porta subito all’attico, è dura rifiutare.

Poi però ci ragioni sopra e pensi che quando venderai anche 150.000 copie di un disco quelle copie le ha vendute “il programma”, non tu. Finisce per contare di più il personaggio ed è una cosa che non mi sono sentito di affrontare. Sono riuscito ad emergere partendo da una città come Torino, dove uscire fuori con il rap è difficile, quindi mi sarebbe dispiaciuto “buttare” tutto questo. Ho anche fatto amicizia con chi è uscito da un talent, capisco chi li fa. Se hai voglia di spaccare e non hai altre opportunità in quel momento non puoi dire di no, sarebbe follia. Io avevo già un seguito, vedevo la possibilità di crescere con le mie gambe.

Come sono andati gli instore e gli incontri con il pubblico?
Sono stato anche io un fan e ho partecipato agli instore: mi sembrava una cosa terribile quando il rapper stava seduto con gli occhiali da sole, non parlava e firmava solo le copie…così li ho fatti in piedi, senza occhiali e ho parlato con tutti! E’ stato più faticoso, ma da quello che mi scrivono è servito. Secondo me dovrebbe essere la normalità. C’era una fan che mi segue da 4 anni, da quando nessuno sapeva chi fossi: lei è di Siracusa, io ho fatto il firma-copie a Catania e lei non poteva venire. Ho deciso di comprare una copia del cd e portarglielo a casa, lei non ci credeva! Ma ho pensato che se lo meritasse.

Nel disco c’è anche spazio per parlare d’amore, ma spesso ti descrivi come un “bad boy”, un tipo quasi da evitare, poco raccomandabile, un po’ come tutti i rapper nell’immaginario collettivo. Ma anche un bad boy può innamorarsi?
La figura del “bad boy” è fraintesa, oltre ad essere po’ old school. Io racconto di tanti periodi: ho fatto pezzi forti, anche nel disco precedente. Basti pensare a Rodeo, per cui ho lavorato con Rocco Siffredi e Gue Pequeno, che ha un testo non proprio leggero. Ma in questo disco racconto un altro lato di me: tutti i cattivi ragazzi se si innamorano smettono di essere tali. In alcuni pezzi più duri mi riferisco a periodi in cui non sono fidanzato e non ho interesse per nessuno. Spazio ai due estremi: dal “wild” al romantico.

Foto: Facebook

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