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Modena City Ramblers: “Noi, moderni cantastorie ascoltati anche dai più giovani” [INTERVISTA]

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Ci sono cose che non hanno tempo, come alzare lo sguardo verso il cielo d’Irlanda, guardare dal finerstrino di un treno lo scorrere di un paesaggio (staccando gli occhi dal tablet), respirare il profumo di un libro, ascoltare per la prima volta un disco che si desiderava comprare da tempo o passeggiare tra i corridoi di una galleria d’arte. Insieme a un mucchio di altre cose, a ciascuno le sue. Così sono i Modena City Ramblers, che dagli anni ’90 portano sui palchi la loro musica senza compromessi, fuori dalle mode del momento, fuori dai “consumi” più popolari, come piace a loro e a chi li segue, cambiando formazione, sonorità e influenze, ma mai lo spirito.

Il loro ultimo disco, Tracce clandestine, è stato dato alle stampe lo scorso 24 marzo, dopo un lavoro svolto tra l’Italia e l’Europa, recuperando, tra i 15 brani della tracklist, canzoni mai registrate (o comparse solo in dischi oggi introvabili) e brani cantati solo dal vivo, spesso di altri autori, che tuttavia appartengono allo stesso retroterra culturale e musicale dei MCR, o che hanno particolarmente influenzato il lavoro della band.

In un epoca di social network e talent show c’è ancora spazio per testi come quelli di Saluteremo il signor padrone o Per i morti di Reggio Emilia, a quanto pare, visto che anche tanti ragazzi cantano in coro queste canzoni durante il tour che sta tenendo il gruppo impegnato in queste settimane. Sarà perché il pubblico dei Modena, anche quello più giovane, capisce che quelle parole non sono ancora vuote. Sono solo cambiati nomi e volti dei protagonisti e sì, le “mondine” non esistono più in Italia, è vero, ma al loro posto ci sono comunque tanti ragazzi (laureati e non) chiusi dentro ai call center o costretti a rincorrere altri lavori con orari e retribuzione improbabili. Così come stragi e guerre sono ancora in atto, per quanto risulti anacronistico. Ma per capire meglio l’album e il lavoro che l’ha sotteso basta leggere la nostra intervista con Davide “Dudu” Morandi, voce del gruppo.

Com’è nata l’idea di “rispolverare” queste Tracce Clandestine? Con che criterio avete scelto i brani?
L’idea del disco è nata sulla scia dei festeggiamento per i 20 anni di carriera discografica, dell’album Venti, dell’uscita del cd e dvd del concerto di Bologna. Abbiamo pensato di recuperare una serie di canzoni che non erano mai state messe su cd o album ufficiali. Nel caso di Canzone per un amico fragile, per esempio, questa era stata incisa solo in cassetta nel ’93. Così come per The ghost of Tom Joad, di Bruce Springsteen, finora edita solo per un disco tributo. Poi ci sono canzoni che abbiamo eseguito solo dal vivo e che vogliono essere un riconoscimento a chi ha influenzato la nostra carriera, come Manu Chao, Mano Negra, Clash…è un po’ come tornare indietro, guardare a tutti questi brani importanti per noi e che da sempre facciamo dal vivo, per poi farli ascoltare a tutti.

Ma nella tracklist c’è anche un inedito, The Trumpets of Jericho, realizzato con Terry Woods dei Pogues
Abbiamo registrato Canzone per un amico fragile con lui, ma avevamo anche questo testo già da un po’ di anni. Era una canzone abbozzata in inglese, anche per questo non era mai uscita fuori dallo studio. Così l’abbiamo finita insieme a Terry Woods in Irlanda, aggiungendo la coda finale in italiano, che era una sorta di altra poesia che avevamo nel cassetto e che in origine era stata scritta per la situazione palestinese. E’ nata, infatti, dopo che abbiamo partecipato a Make music, not walls (“Fate la musica, non i muri” n.d.r), uno spettacolo che ci ha colpito in cui si celebrava la caduta di tutti i muri: questa è un’immagine ricorrente sin dai tempi del muro di Berlino, ma spesso non ci ricordiamo che abbiamo un muro proprio al di là del Mediterraneo. Della situazione palestinese si parla principalmente per la striscia di Gaza, ma ci sono altre situazioni che dovrebbero essere messe in luce. Il pezzo è nato con questa idea, quindi, poi ha assunto un respiro più ampio.

In effetti nell’album ricorrono tematiche come la pace e voi, da sempre, toccate argomenti che riguardano l’impegno civile e politico. Come può la musica influenzare chi l’ascolta, cambiare lo stato di cose?
Ci sono due scuole di pensiero: chi pensa che la musica non debba occuparsi di politica e chi, invece, ritiene il contrario. Noi, ovviamente, apparteniamo alla seconda categoria e cerchiamo di smuovere gli animi. Ci sentiamo un po’ come i cantastorie di un tempo che portavano le notizie in giro per il mondo, così come altri artisti. Raccontiamo delle storie, in fondo, e speriamo che qualcuno, nel suo piccolo, decida di approfondire. Ci sono giovani che sono venuti ai nostri concerti e che poi abbiamo saputo si sono attivati anche nel sociale, una cosa che ci ha dato una grande soddisfazione. Per altro parliamo di persone che il più delle volte quando abbiamo cominciato a suonare neanche erano nate!

Il vostro modo di veicolare certi messaggi, comunque, prevede testi e canzoni che spesso appartengono a decadi passate, all’inizio del secolo scorso, magari. Pensate che quelle parole, così antiche, possano comunque avere effetto sulle nuove generazioni, spesso accusate di “disaffezione” nei confronti della politica?
Crediamo che quelle parole debbano avere ancora valore. Appartengono comunque alla nostra cultura, è un patrimonio che è giusto preservare. Il passato deve raccontarci qualcosa, con i termini giusti, quelli che si usavano all’epoca e pensiamo abbia ancora senso usarli. Anche se spesso si afferma il contrario, nei ragazzi c’è ancora la voglia di capire.

Voi avete essenzialmente continuato a fare la vostra musica al di fuori da ogni logica di mercato, praticamente, eppure vi segue, appunto, un pubblico di tutte le età. Pensate che queste scelte vi abbiano agevolato, in termini di “longevità”?
Noi non siamo mai stati alla moda o glamour, e questo ci ha salvati. Ora che è diventato tutto più difficile, anche nella musica, noi che siamo abituati a non avere esposizione mediatica partiamo in qualche modo “avvantaggiati”. Continuiamo ad essere noi stessi, siamo in tour per quasi 365 giorni l’anno, siamo sempre in mezzo alla gente, questo lo troviamo fondamentale.

A proposito di tour, so che quello del 2015 sta andando bene…
Abbiamo ricevuto una risposta incredibile, non mi aspettavo che andasse così: dopo tanti album alle spalle, era rischioso andare a proporre una scaletta fortemente incentrata sul nuovo disco, magari il pubblico più affezionato avrebbe preferito le canzoni che solitamente ci si aspetta da noi. Eppure i concerti di questi giorni hanno segnato molti sold out, la gente si diverte. Siamo contenti, non può che farci piacere perché al di là della bellezza dei pezzi che proponiamo, significa che il pubblico apprezza la nostra scelta.

Tra l’altro avete anche tenuto una serie di concerti all’estero e anche in quel caso vi siete dichiarati soddisfatti del risultato
Ci sono molti italiani, in giro per l’Europa e nelle città dove abbiamo suonato, ma anche tanti autoctoni che hanno il coraggio di ascoltare musica nuova. Con quelle date fuori dall’Italia abbiamo finito di registrare il disco, per altro, praticamente tra la Spagna e l’Irlanda. Ancora non abbiamo stabilito esattamente quando, ma faremo altre date tra Olanda, Lussemburgo, Spagna…sono tutte cose che nascono da ciò che fai di buono: se hai seminato bene e sei riuscito a risvegliare interesse, poi le situazioni nascono da sole.

Come sono cambiate le cose da Riportando tutto a casa (1994)? Sia per voi che per l’Italia
Beh – ride – per quello che riguarda l’Italia, ci sono troppe cose che non sono cambiate, piuttosto. Si parla ancora di corruzione nella politica, ma anche di tanti altri argomenti che già abbiamo trattato in Riportando tutto a casa. Sono canzoni scritte 20 anni fa, eppure molte situazioni sono le stesse. Se ascolti quei brani, pensi che potrebbero essere stati scritti ieri! Si va avanti, cambiano i millenni, ma siamo ancora alle prese con i soliti problemi. Per quanto riguarda noi…sì, siamo cambiati, ci sono stati mutamenti nella formazione, la nostra musica si è contaminata…ma abbiamo lo spirito di sempre. E’ l’idea di “gruppo” che è più forte di tutto, un’idea basata su qualcosa di concerto, che va oltre i singoli componenti che salgono sul palco.

Foto: Facebook

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