Il quinto elemento. Dopo Tommy Vee, Coccoluto, Molella e Cristian Marchi, ecco Giorgio Prezioso. Professione: Dj. Che sia uno di quelli più apprezzati sulla scena italiana è cosa ben nota. Scopro che anche all’estero ha ottimi riscontri e, soprattutto, mi piace riscoprire in questa occasione il suo talento radiofonico. Tutti i giorni fa un lavoro certosino su M2o (“Prezioso in Action”, ndr.), alto artigianato che gli permette di proporre al pubblico la sua musica, ma intervallandola a curiosi sketch-montaggi-mashup legati all’attualità. Un meticoloso lavoro di post-produzione, bravi davvero.
Una lunga chiacchierata colma di parole chiave: si va dall’amicizia con Jovanotti all’amore per formazioni storiche come Human League e Depeche Mode, dalla stima per Albertino (“il suo Deejay Time era programma di riferimento per la discografia italiana“) a un pensiero per i 70’s, con il film “Saturday Night Fever”. Giorgio Prezioso mi giunge amico, facendomi scoprire un tale Cash Money: è anche per questo genio dei piatti se oggi lui è Dj di professione…
Giorgio, sei sempre in action eh…
(ride) “Prezioso In Action” è il programma che va in onda su M2o tutti i pomeriggi dalle 15 alle 16. Anni fa facevo una cosa simile a Radio Deejay, ora ho semplicemente ‘cambiato casa’: un modo divertente per proporre un certo tipo di musica che arrivi al maggior numero di persone, anche a quelli meno avvezzi alla dance. C’è un grosso lavoro di post-produzione, con contenuti presi dalla tv, scomposti e ricomposti da me e Jack lo scorbutico: da Bonolis ai politici, fino ai telegiornali.
Ora a cosa stai lavorando?
Il mio ultimo lavoro è Reset in collaborazione con i Vinai; attualmente sto lavorando ad un nuovo pezzo stile Be Bop.
Facciamo un passo indietro, più di qualcuno: 1999, “Festivalbar”. Sei stato tra i protagonisti, al fianco di Marvin..
Era un programma di grande fascino, come negarlo! L’ho sempre seguito, soprattutto nella seconda metà degli anni ’80. Per me fu una bella esperienza, credo sia stato chiuso perché non riusciva a portare gli ascolti dei primi tempi. C’è stato un periodo in cui la musica in tv ha smesso di funzionare. Poi, per fortuna, sono arrivati i talent show che – vuoi o non vuoi – hanno riavvicinato il pubblico a un certo tipo di trasmissioni.
Di remix ne hai fatti tanti, esiste qualcuno che ti ha un po’ deluso e qualcun’altro, invece, che hai ancora in testa e nel cuore?
Nel cuore ho tutto, perché quando ho fatto qualcosa era perché ero convinto di farlo e di farlo esattamente in quella maniera. Dovrei citarne una miriade, ricordo O Zone-despre tine che andò molto bene in tutta Europa.
Se oggi potessi scegliere un grande evento da stadio, che concerto ti piacerebbe aprire?
Forse ti stupisco, non penso agli artisti pop classici, consolidati nella nostra tradizione. Sarebbe bello suonare prima di Benny Benassi, che oggi resta il dj italiano più apprezzato all’estero.. Certo, se Jovanotti dovesse farmi una proposta, non mi tirerei indietro: ci siamo conosciuti negli anni ’80, a Roma, in una discoteca molto nota (Veleno, ndr.). Siamo entrati in sintonia, in seguito abbiamo anche lavorato assieme.
A proposito di Lorenzo e di quel mondo. Una volta hai detto: “Essere presentati da Albertino era speciale”. Approfondiamo…
Beh, sul finire degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90 il “Deejay Time” era un punto di riferimento per tutta la discografia italiana. La radio era ancora capace di selezionare musica in maniera adeguata e di lanciare cose nuove e di valore. In questo senso, passami il termine, Albertino è stato un po’ “l’Arbore della dance-music”, perché ha reso popolare un genere che non lo era. Era in grado, con la sua simpatia, di farsi ascoltare anche da quelli che non amavano molto la musica.
Tu sei del 1971: musicalmente ti senti figlio degli anni 80?
Assolutamente sì. Del resto, la musica che vivi da adolescente è quella che, poi, ti porti dietro per sempre. Al di là della Italo-Disco che tanto andava in quegli anni, c’erano formazioni fantastiche: dai Depeche Mode, ai Frankie Goes To Hollywood agli Human League, Duran Duran. Col tempo ho creato un mio gusto personale, quello stesso gusto che è andato a finire in tutte le mie produzioni.
Hai iniziato giovanissimo, vero? E hai vinto il primo vero contest della storia dei dj!
1988, a Riccione, avevo 17 anni. L’anno successivo andammo anche su Italia Uno, era una cosa nuova per la tv. In seguito ho anche partecipato alla gara del DMC, era il 1990: lì, ahimè, arrivai solo secondo, ma per la giuria estera primo, dietro a Zappalà, con il quale – tra l’altro – siamo anche parecchio amici.
So che il mestiere di dj si impara sul campo, ma c’è qualcuno che oggi dovresti ringraziare?
Due figure, senza dubbio. Due date ben impresse nella mia mente. 1982, Faber Cucchetti: lui lavorava al Much More di Roma, era quasi una leggenda, io avevo solo 11 anni, ma in quel momento capii che dovevo intraprendere quella strada. La scelta definitiva e ancora più consapevole è arrivata 6 anni dopo, nel 1988, a Londra. Ero lì, al campionato mondiale di DMC, vidi la performance di Dj Cash Money,e da li decisi di passare le mie ore diurne e notturne ad allenarmi sui piatti.
Quali sono i gusti dei giovani, del tuo pubblico in particolare?
Un po’ complicato generalizzare, ma per grandi linee posso dirti che oggi funziona molto l’house progressive, l’EDM. Diciamo che tutti i pezzi, o quasi, si originano dal filone svedese e olandese, e questo lo ritrovi nel sound, nell’arrangiamento che, di base, è spesso standard, per usare un termine semplice.
Chiudiamo. Dimmi la tua ‘canzone nell’armadio’, quella che ascoltavi da ragazzino e che ancora oggi ti torna in testa come un tormentone legato a qualche bel ricordo
Mettiamoci dentro un po’ di cinema: “La febbre del sabato sera”, film dove ho apprezzato tantissimo la storica “Stayin’ Alive” dei Bee Gees, 1977. Tutto l’album era di altissima qualità, ma quel pezzo aveva, ed ha ancora, un sapore particolare.
(foto giorgioprezioso.com)
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