Raccontare di giorno il mondo della notte. E’ un’impresa che qui a Velvet cerchiamo di fare da un po’ di tempo, lasciando parlare (prima ancora che suonare) i veri professionisti della consolle. Cristian Marchi è certamente uno di questi: non lo scopro io, ha quasi 40 anni e per oltre la metà ha deciso di fare musica, riempiendo piazze e club di tutto il mondo. Non è un modo di dire, perché questo ragazzone mantovano, piatti e dischi al seguito, è molto richiesto in paesi lontani, come l’Australia, la Korea del Sud o l’Asia. “Tra il 31 dicembre e l’1 gennaio ho suonato in tre posti diversi“, mi racconta, lasciandomi intendere quanto il mestiere del deejay sia affascinante, ma faticoso. Ultimissimo lavoro (singolo, giusto chiamarlo così) è la versione rivisitata del suo successo “Made To Love You”, un pezzo che strizza l’occhio agli anni ’80: “Quel decennio è stato fondamentale, la Italo Disco ha rappresentato molto per la cultura della notte“.
Ogni mese Cristian diffonde in tutto il mondo un progetto radiofonico (in lingua inglese) creato per raccontare la house moderna: “House Victim” è una sorta di Podcast Show scaricabile gratuitamente su iTunes e sul suo sito ufficiale. Dopo aver ‘aperto’ due concerti di Vasco Rossi (Bologna e Torino), è pronto a fare il bis nell’estate 2014 a Roma e Milano, perché al Komandante non si può mai dire di no. E neppure a 60.000 persone…
Tra un po’ fai 25 anni di attività dietro la consolle: non male, Cristian…
Quello che sono oggi è il risultato di tante esperienze: tanta vita nei club, nelle piazze, in discoteca. Mediamente, ogni anno, ho un ‘piano di visibilità’ di circa 25.000 persone, davanti a me svariati usi, costumi, abitudini: un Dj attento ha la fortuna di percepire le cose prima degli altri. Guardare la gente, i loro occhi. Ad esempio, io avevo percepito già da tanto questo momento di grossa crisi in cui l’Italia è precipitata negli ultimi anni.
Ora a cosa stai lavorando?
Ho appena finito un remix: si tratta di un disco con Ben DJ, la voce è di Chris Willis, cantante che ha fatto tantissime cose anche con David Guetta. Uscirà tra pochi giorni, su Time Records. Nel frattempo sto anche lavorando al nuovo Cristian Marchi, insieme con il mio socio e produttore Paolo Sandrini.
Sarà stupido chiedertelo, ma… cosa hai fatto a Capodanno?
Beh… Non ci crederai, ma sono stato in viaggio.. lavorando! Prima un evento all’Hotel Atlantic di Torino, poi – nella stessa notte – ho suonato in un club (dalle 3 alle 5 del mattino). Infine, mi sono messo in macchina e, come ogni anno, mi sono diretto a Madonna di Campiglio dove da anni faccio la mia serata al Des Alpes. Poi, per fortuna, ho dormito…
Hai definito “house moderno” il tuo sound: mi spieghi meglio?
Sai, la definizione classica di house music è quel genere a metà tra l’elegante e il fashion. Ma è la base di quello che davvero va di moda oggi: tutto è diventato più electro, progressive, anche per questo in un set come il mio inserisco varie cose, un po’ per diversificare l’offerta e un po’ per andare incontro ai gusti del pubblico. E’ chiaro, sotto c’è un’influenza pop-dance, ma non faccio l’EDM (“Electronic Dance Music”, va molto tra i ragazzi di 16-20 anni), preferisco miscelare a modo mio la house e l’electro, tutto qui.
A proposito di modernità: hai fatto dei pezzi slegati dalle robe convenzionali, ad esempio “I Got You”, una canzone d’amore per i club, vero?
Sì, assolutamente. Anche la versione anni ’80 dell’ultima “Made To Love You” è canzone d’amore: non mi nascondo, tutti sanno che anch’io facevo delle robe (e le faccio ancora) come “Let’s Fuck” o “Love, Sex, American Express”, da una parte meno impegnate, ma ugualmente molto ‘lavorate’. Non dimentichiamoci che dietro un pezzo c’è sempre un team: musicisti veri, produttore-arrangiatore, songwriter, cantante…
Mykonos, Palma De Mallorca, Korea del Sud e Australia: che differenze rispetto all’Italia, rispetto agli spazi che il nostro paese dedica alla musica?
Non è questione di essere meglio o peggio, ma è oggettivo un divario per come questo genere musicale viene vissuto e recepito. E’ l’economia che fa girare tutto: in Australia, ad esempio, sono pro-festival, pro-eventi, pro-spazi. Puoi andare a suonare lì e trovare 60.000 persone in uno stadio o a riempire spazi verdi. In Italia non accade, perché non è nella nostra cultura: siamo nel 2014, da noi si parla ancora di “discoteca”, ma ormai è quasi demodé. Oggi i club non riescono a fare i numeri di un tempo, perché la crisi è forte, la verità è pure nella scelta – ben più varia – che l’estero propone.
Continuiamo a parlare dell’Italia, è interessante…
Una cosa è certa, dalle nostre parti è più facile comunicare, lo fai in italiano o in inglese, che poi è sempre la lingua internazionale per eccellenza. E’ pur vero che in paesi come Croazia, Korea, Polonia, Francia o Spagna puoi trovare delle difficoltà in fatto di comunicazione, perché non tutti capiscono l’inglese, quindi lì diventa meno semplice creare un certo coinvolgimento. Altra cosa è la presenza del vocalist: da noi è impiegato quasi stabilmente, è un ruolo consolidato, mentre all’estero esiste solo l’MC (maestro di cerimonie) e riguarda esclusivamente la presentazione dei grandi eventi di genere.
“House Victim”, parliamo di questo tuo radio-show mondiale?
Volentieri. Tutti i dj del mondo hanno un radio show che li rappresenta, personalmente ho sempre amato dare il mio ‘touch’, la mia paternità, a quello che faccio: così, ho dovuto ritagliarmi un po’ di tempo e dar vita a qualcosa da diffondere attraverso le radio web ed fm. House Victim dura un’ora e va su iTunes (e sul mio sito) ogni mese: presento 18 brani, racconto la loro storia e miei aneddoti. E’ un progetto tutto in inglese, i grandi network italiani mi hanno chiesto di “tradurlo”, ma non ho accettato…
Vasco Rossi: tu hai aperto due suoi concerti a Bologna e Torino, sei un suo fan?
Sono sempre stato grande fan di Vasco, una grossa parte dell’Italia è Vasco-dipendente e solo chi non è stato a un suo concerto ha difficoltà a capire quello che dico. Aprirò anche le date di questo 2014, sarò a Roma e Milano e sarà dura: molti non lo ammettono, ma aprire il concerto di una rockstar (o postar) è un momento drammatico, perché sai bene che nessuno ha fatto il biglietto per sentire te, stanno tutti lì per qualcos’altro. E’ anche vero che, storicamente, il vero fan di Vasco era solito passare il sabato e la domenica in discoteca, per cui quello è un pubblico predisposto alla dance.
Torniamo al tuo ultimo singolo, “Made To Love You”, la versione ’80 style. Anche tu eri seguace di quella che, all’epoca, chiamavano Italo-Disco?
Senza dubbio! Mi sento figlio legittimo dell’Italo-disco: pensa, negli anni ’60 e ’70 ho vissuto la musica di riflesso alla mia famiglia, poi – negli ’80 – ho lavorato nel mondo della radio, facevo il direttore artistico e volevo fare una programmazione adeguata, variare, lavorare per tutto il pubblico. Ho conosciuto e amato la Italo Disco, per la cultura dance è stato un momento molto importante, del resto è intramontabile.
Chiudo: mi dici qual è la tua “canzone nell’armadio”, un brano del passato al quale leghi un ricordo particolare?
C’è un disco che mi è sempre piaciuto, ancora oggi è tra i miei preferiti: ricordo che andavo al juke box ad ascoltare Mike Oldfield e la sua “Foreign Affaire”. Mia madre aveva comprato il vinile, poi mi feci regalare la cassetta, in seguito ho acquistato il compact disc e recentemente l’ho anche presa su iTunes. Insomma, nel complesso, avrò acquistato quel pezzo cinque o sei volte…
(foto by Uff Stampa)
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