Io so di non sapere. Almeno non quanto un musicista vero. Mi piace passare del tempo in compagnia “di chi la musica la sa”, perché è il modo migliore per non stancarsi della propria amata, che è sempre femmina e fatta di 88 tasti o sei corde. Oppure, come nel suo caso, quattro. Saturnino Celani è tutto tranne che un bassista sopravvalutato: molti pensano sia semplicemente ‘fido scudiero’ di Lorenzo Jovanotti, io ho un’altra idea… Se qualcuno ti porta su (e non ti lascia cadere) è perché ti stima: se mister Cherubini lavora con questo ragazzo dal 1991, un buon motivo ci sarà. Più di uno (basta guardare l’assolo di “Libera l’anima”).
Ora Saturnino ha deciso di mettersi in discussione, affrontando una nuova sfida professionale: raccontare l’Italia e gli italiani, attraverso storie di uomini e donne che non si arrendono. Succede ogni venerdì (su La7, h. 22:40) con il programma “Guerrieri”: me lo faccio raccontare da lui e poi parliamo di musica, così, senza canovaccio. Come ci pare…
“Guerrieri”: che reazione hai avuto quando te l’hanno proposto?
Beh, mi contattò un agente di volti noti della televisione giovane, una persona che conosco da anni: la cosa mi piacque subito, perché riguardava tutte quelle persone che sono riuscite, col tempo, a trovare se stesse, a realizzarsi. Sapevo di non essere pronto per la tv, così ho fatto un provino vero e proprio: un giorno mi trovavo in aeroporto, per un volo Roma – Buenos Aires e mi arrivò una telefonata di conferma, avevano deciso di puntare su di me..
Partiamo dall’inizio, dalla puntata con il rapper Amir e i ragazzi della piccola orchestra di Torpignattara…
Bell’esordio! Guarda, la musica è un linguaggio universale, ci si relaziona facilmente, soprattutto quando la passione è così grande. Mi piace Amir, per quello che fa, per la sua storia personale: mi ha intrigato tutto il suo vissuto, è un ragazzo pieno di energia, oltre che una persona “a posto”. L’orchestra, poi, è stata straordinaria, fidati: io ho fatto 7 anni di violino, spesso quasi sorrido di fronte all’approssimazione musicale, loro invece mi hanno sbalordito: piccoli, ma grandissimi professionisti…
“Approssimazione musicale”, parliamone…
E’ facile parlare di musica, è un po’ come il calcio: tutti possono esprimere la loro opinione su questo o quell’artista. Ma per chi fa questo mestiere tocca studiare più di un po’, altrimenti non arrivi da nessuna parte: prendi Lorenzo, lui non ha fatto studi musicali veri e propri, ma ha ascoltato tantissima musica, appassionandosi di generi diversi, con curiosità e passione. Mi stupisce tutti i giorni, non solo come persona, parlo di competenza: per certi versi, ne sa più lui che tanti altri.
Il sottotitolo di “Guerrieri” è Storie di chi non si arrende: nella tua carriera c’è stato un momento in cui stavi per arrenderti?
Sicuramente ci sono stati momenti difficili, come negarlo. Ad esempio penso a quando ho lasciato le scuole superiori: se oggi mi chiedono quale sia il mio titolo di studio, a me tocca rispondere “terza media inferiore”. Forse dovevo dar retta a mia madre, proseguire gli studi, poi quando sono arrivato a Milano è iniziata un’altra vita e oggi siamo arrivati qui: il bilancio è buono, credo che la famiglia ti debba guidare, ma a volte il loro “volerti proteggere” può rischiare di danneggiarti…
Musica, tre nomi: Tony Levin, Red Canzian e Faso. Invidia, stima, voglia di duetto?
L’invidia non c’è. Per me è un concetto che non esiste. Io ho sempre desiderato il “fare”, ho sempre provato a conquistare quelle cose della vita che non avevo e/o che non potevo avere. Eric Clapton diceva che noi musicisti, quando iniziamo a guadagnare, acquistiamo subito strumenti. Poi strumenti e macchine. Poi strumenti, macchine, case e vestiti. Insomma, la musica è alla base, è una passione e va coltivata, in tutti i sensi.
Torniamo a quei tre nomi…
Certo, scusa! (ride) Red Canzian è assolutamente incredibile, per l’energia e la passione che mette dentro tutto quello che fa. Parlo di oggi, sembra un ragazzino alle prime armi, che entusiasmo, che professionalità! Faso ha quella bravura che non ti aspetti, ma chi lo conosce bene sa che c’è una musicalità di fondo, lui suona il basso come pochi, conosce benissimo lo strumento. Apprezzo Tony Levin, ma non ho mai suonato con lui, non saprei cosa dire, potrei essere banale.
A proposito di robe tecniche: basso e voce. Mi è capitato di vedere dal vivo performance del genere, è più difficile per cantante o musicista?
Te la faccio in parole povere (ride). Il basso è uno strumento che si fonda sulla ritmica, una ritmica che deve dare sostegno. Non puoi definirlo strumento ritmico-armonico. E’ molto complesso cantare con l’accompagnamento del basso, infatti per me Sting è stato (ed è ancora oggi) un genio assoluto.
Parentesi: avevi un piccolo ruolo in “Jolly Blu”. Ho parlato di quel film sia con Cecchetto, sia con Pezzali. Tu come hai vissuto quell’avventura? Per me poteva riaprire un filone…
Assolutamente, sono d’accordo con te! Era un progetto molto interessante, ma l’Italia ha pochi registi. Mi spiego meglio, non voglio offendere nessuno, per carità: dico solo che i “musicarelli” di Morandi erano una figata pazzesca, anche perché dietro c’erano professionisti immensi. Oggi manca la passione del tempo…
In quella scena Max cantava “Sei un mito”…
Alcuni giorni fa sono andato al Forum di Assago e quando ha cantato “Sei un mito” mi sono commosso. Max è l’anti-star per eccellenza, è uno che fa belle canzoni, che non esagera. A volte ci si sforza troppo, bastano canzoni semplici, con pochi accordi: oggi il jazz piace meno, perché è diventato quasi incomprensibile, mi fa pensare a quelli che suonano lo strumento e fanno dei versi o delle smorfie. Si suona con le mani, non con occhi, naso e bocca. Dai…
Capitolo Jovanotti: esiste un momento da palco che ti ha emozionato, un momento diverso dal solito concerto…?
In generale, io quando mi vedo suonare in quelle situazioni, godo da morire, lo ammetto! (ride). Sono sempre felice, quasi sempre soddisfatto. Se penso al passato, mi vengono in mente le prove del “Pavarotti International”, quelli sono momenti che non puoi dimenticare, quelle sono emozioni.
Qual è il pezzo al quale sei più legato e quello che, invece, ti è piaciuto meno? Escluso “L’ombelico del mondo”…
Quello è la mia pensione! Per il resto, parliamo pure di “Raggio di sole”: secondo Lorenzo, nella primissima versione originale c’era qualche problema, definiamolo così. Oggi è diventata più potente: è un pezzo che è stato scritto bene, ora abbiamo fatto un restyling, funziona ancora di di più. Un brano al quale sono legato è “Libera l’anima”, in particolare l’assolo originale, quello è il primo take della mia vita accanto a Lorenzo.
Ultime due cose. Vent’anni fa hai fatto un disco bass solo, uno dei primi esempi del genere: oggi da cosa partiresti per un progetto del genere?
Mi fai venire l’idea di fare un remake! Sarebbe bello realizzare un “Testa di basso” con il top dei musicisti a livello mondiale. Nel 1994 non avevo né i soldi, né le conoscenze per una cosa di questo tipo, forse oggi ci potrei provare. Sarebbe una bella avventura, entusiasmante.
Quale è la tua “canzone nell’armadio”? Quella che ascoltavi e/o suonavi da ragazzino e ancora oggi ti torna in mente, magari nei momenti di relax…
Non ci crederai, ma con alcuni amici abbiamo preso una consuetudine: quella della serata karaoke. Alcune sere fa, c’era anche Andrea Pezzi, ho deciso di cantare “Space oddity” a modo mio, pare sia venuta bene. Mi piace molto quel pezzo, bello da ascoltare e da suonare, non gli manca nulla.
(PH. Settimio Benedusi)
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