Sotto questo sole è bello pedalare, sì, ma c’è da sudare. Ci sono le notti magiche di Baggio e Schillaci, gli esordi di un tale Jovanotti e in tv la vita è tutto un quiz. E, così, s’impara a pedalare, anche ascoltando quella canzoncina: con i Ladri di Biciclette, in testa Paolo Belli e Francesco Baccini (LEGGI L’INTERVISTA). I due prenderanno presto strade differenti, pur restando entrambi nel panorama discografico italiano.
Paolo ha un’anima funk, anzi blues, anzi swing. Perché non sarà slanciato, ma lo slancio, lo swing, ce l’ha sempre avuto: la voglia d’improvvisare e divertirsi sul palcoscenico, quella cara ai veri entertainer americani. Di esperienze ne ha fatte tante e l’ultimo disco, “Sangue Blues” (uscito il 19 novembre), conferma la sua innata capacità di stravolgere le canzoni e farle sue, con estrema sincerità artistica. Un lavoro registrato come si faceva una volta, senza andare di corsa, con l’orchestra presente in studio, tutto meravigliosamente in presa diretta. Perché la musica, per lui, è spettacolo: la nostra chiacchierata è colma di parole chiave, Fiorello, Renzo Arbore, Milly Carlucci, Alessandro Del Piero, Fabri Fibra, Enzo Jannacci. E un colore, l’azzurro…
E’ uscito “Sangue blues”
Beh, sì! Ci siamo arrivati dopo un anno di lavoro: decisivo fu l’incontro con Roberto Ferrante della Planet Records. Dieci anni fa avevo fatto un disco con lui, in seguito ha aperto la filiale della sua etichetta a Miami ed è diventato un vero numero uno a livello internazionale. Un giorno ci siamo sentiti e mi ha detto che gli sarebbe piaciuto fare qualcosa con me, gli ho detto: “Va bene, ma ad un patto, l’orchestra deve stare in sala, come si faceva una volta…”
Insomma, vi siete divertiti…
Credimi, è stata una vera libidine! Tutto così vero, genuino, non che io ce l’abbia contro le incisioni moderne o i lavori che si fanno al computer, ma lavorare in quelle condizioni mi ha fatto stare da Dio, a me come a tutti i miei musicisti. Abbiamo registrato in uno studio vicino casa mia: dopo il sisma, da quelle parti le conseguenze sono state devastanti e quei ragazzi dovevano tornare a lavorare, se lo meritavano.
Soddisfatto del lavoro?
Sarebbe stato bello fare tutto a Miami, ma alla fine è venuto fuori un suono all’americana. Io soddisfatto, certo, soprattutto sono stati i miei amici solitamente ‘scettici’ a rimanere impressionati. Sono impazziti tutti, davvero…
Dentro ci sono delle cover, una in particolare: Enzo Jannacci
Lo sanno tutti, tanti anni fa io andavo sempre ai suoi concerti e gli rompevo le scatole. Mi spiace non ci sia più, altrimenti potrebbe confermarlo. L’avrò visto salire sul palco 200 volte, per me lui era Dio. Ho anche lavorato con lui al “Laureato bis”, insieme con Piero Chiambretti, è stato piacevolissimo. Enzo è stato un maestro vero, in tutti i sensi, non solo artistico.
Altri modelli?
In un certo senso, Arbore è come Jannacci: per me ha sempre rappresentato un punto di arrivo. Musicalmente posso citarti altri mostri sacri, come Fred Buscaglione, James Brown, Renato Carosone.
E Fiorello, vero?
Che te lo dico a fare, lui è l’erede di una grande tradizione tutta italiana. Per farti capire quanto sia grande la mia stima per lui, pensa che l’anno scorso, dopo un suo show, siamo stati insieme a cena e a tavola gli ho detto: “E’ stato lo spettacolo più bello che abbia visto.. più bello del mio!”
Motivo?
Quelli come lui, e mi ci metto dentro anch’io, si augurano sempre che la gente abbia speso bene il proprio tempo, oltre che il proprio denaro. Io, lo ammetto, sono un cialtrone, ma con un altissimo senso dello spettacolo: i miei musicisti, tra l’altro, sono ben più talentuosi di me. Ogni sera mi piace offrire qualcosa di leggero, ma allo stesso tempo di grande qualità musicale.
Ti ho visto in concerto meno di due anni fa: levami una curiosità, le gag ve le preparate o nascono per caso…?
Diciamo che sono il prodotto di errori! (ride) Sul palco accadono spesso alcuni imprevisti, è naturale. Siccome, ripeto, voglio che la gente si diverta, tendo a usare gli errori, cercando di rimediare, attraverso l’improvvisazione, con l’artificio dello spettacolo. In quelle situazioni giocano un ruolo fondamentale il talento, il mestiere, la fortuna: sono occasioni che andiamo poi a studiare bene per ripeterle in maniera più precisa, meglio costruita…
Sei mesi fa ho intervistato Anna Oxa e mi ha detto di provare nostalgia per l’esperienza con te e Panariello a “Torno sabato”
Oggi una cosa del genere non si potrebbe fare, soprattutto per ragioni economiche: quello era un grande circo, si andava su e giù per l’Italia, era un arricchimento continuo, sia dal punto di vista umano che da quello artistico. Si andava dalla taranta pugliese ai crauti di Bolzano. Ci credo che Anna senta la mancanza di “Torno sabato”, era un’atmosfera speciale, per musiche, monumenti, cibo… (ride)
Tv, Sanremo: lì nel 2009 il duetto con Pupo e Youssou N’Dour, oggi c’è qualcuno con cui vorresti collaborare?
Ce ne sono tanti: primi fra tutti Caparezza, Giuliano Palma, Roy Paci, Jovanotti, soprattutto Fabri Fibra. Lavorare accanto ai colleghi è come andare a scuola, si cresce sempre.
Esiste in qualche formazione d’oggi lo spirito di partenza dei Ladri di Biciclette?
Non seguo molto la musica degli ultimissimi tempi, ma mi piace pensare che qua e là per l’Italia ci siano robe del genere. I Ladri sono nati quasi per caso, eravamo in sei, ci siamo ritrovati per amore della musica, per la voglia di stare insieme. Si suonava in cantina, alle feste di piazza, ci chiamava anche il prete, pensa! Poi è arrivato Sanremo nel 1989, poi l’incontro con Baccini…
Sarà anche stupido, ma a una big band viene voglia di chiedere: preferite suonare all’aperto o in teatri e palasport?
Domanda affatto stupida, anzi! La risposta è immediata, l’importante è che il palco sia piccolo: suonare è come far l’amore, più si sta comodi, meno è forte la passione. Bisogna stare stretti, ‘costretti’, sentire addosso la musica, il suono degli strumenti uno vicino all’altro, l’emozione del pubblico.
Ballando con le stelle: dopo tanti anni chi ti stupisce ancora in questa grande squadra?
Nessun dubbio, è Milly (Carlucci, ndr.): io sono fortunato, ammetto di avere il grande privilegio di fare questo mestiere e mi impegno sempre al massimo. Ma lei è cento volte me, ha passione, bravura, professionalità. Una stakanovista! Cerco sempre di starle accanto, ogni settimana imparo qualcosa di nuovo e, soprattutto, non rischio ‘cali di tensione’. E’ un esempio.
Sei della Juve,proprio come me: quanto ti manca Alessandro Del Piero?
Mi manca da morire, soprattutto perché se n’è andato davvero troppo lontano dall’Italia. Sia lui che suo fratello Stefano sono due persone meravigliose, sono certo che nel giro di un paio d’anni Alex tornerà a fare qualcosa da queste parti, è uno sportivo che ha messo d’accordo tutti, amatissimo anche dai tifosi di altre squadre.
Per chiudere: la tua canzone nell’armadio, quella che ascoltavi da ragazzino e oggi ti ritrovi a fischiettare nei momenti di relax
Non la fischietto, la canto proprio, è quella scritta da Paolo Conte e interpretata magistralmente da Adriano Celentano, “Azzurro”. Importantissima, perché mi ha fatto conoscere mia moglie, innamorare di lei. Nei miei concerti non manca quasi mai, qualcosa vorrà dire…
(foto by kikapress.com)
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