Giorgia è un nome bellissimo, che gira tutto intorno a sé. Come una ballerina da carillon che danza su note consolidate, senza paura di perdere l’equilibrio. Giorgia è una voce che incanta da vent’anni, con straordinaria semplicità. Giorgia è luna che cammina, luna di città: così l’avrebbe dipinta Lucio Dalla. Una ragazza che ha da poco superato i 40 anni e che si lascia ancora ispirare dal cielo: dopo il sole e l’azzurro del 2001, sono le stelle a prenderla per mano in questo nuovo viaggio.
“Senza paura”, album uscito il 5 novembre, (LEGGI LA RECENSIONE), è ottimo pretesto per fare una chiacchierata, lasciandosi guidare dall’istinto: il cuore di questo incontro è un altro anno, il 1995, quando insieme con Mia Martini e Michele Zarrillo l’artista romana diede vita a una performance destinata all’eternità, proprio come quel celebre bianco e nero di Mina e Lucio Battisti. Il 1995 è lo stesso anno del trionfo a Sanremo: per Giorgia una carriera luminosa che nasce subito sotto una buonissima stella. Scopriamo quale…
Partiamo da un tuo tweet, a proposito di ‘Quando una stella muore‘: “..non credo muoia, si trasforma e poi di nuovo illumina un altro tempo, in altro modo. Mi piace pensare che morire sia così, andare altrove…“
La canzone ha un crescendo colmo di senso: il ritmo segue la narrazione, parte piano e poi, con “non è stata colpa mia“, subisce una trasformazione. Lì entra in gioco l’energia dominante, quella che sembra finire, che fa male. “L’universo se ne accorge“, perché siamo tutti collegati a questo mondo, ogni piccolo mutamento ha il suo peso nelle relazioni quotidiane: così è vero che l’energia si trasforma, ma non finisce. Tocca dare un senso a questa fine, uscirne cambiati, diversi.
“Senza paura”, come sai ho accostato il tuo modo di cantare alla bellezza semplice di Claudia Cardinale, ma era solo un apprezzamento artistico, eh..
Non fare marcia indietro, il complimento me lo sono già preso! (ride) Non ti ho retwittato, perché per ‘pudore’ non amo retwittare le lodi, ma giuro che nessun giornalista aveva mai detto una cosa del genere sulla mia musica. Claudia Cardinale era elegante in tutto, si faceva amare con discrezione, pur non essendo mai eccessivamente presente. Non so cos’altro dire, sono imbarazzata…
Tre definizioni per tre stelle dell’album: Olly Murs, Alicia Keys e Ivano Fossati
Olly Murs è stato una scintilla, un momento di entusiasmo: nonostante sia molto giovane, canta bene ed è particolarmente attento, preciso. Alicia è una poesia di donna, quando parla sembra già che canti: è una bellissima luce. Ivano è il maestro funky-soul, del resto se dentro non hai del soul “La mia banda suona il rock” la canti in un altro modo.
Facciamo finta che ‘Oggi vendo tutto’ sarà il tuo 2° singolo: ‘Il cielo è sempre il cielo’ potrebbe essere il terzo, visto che cadrà in primavera-estate?
Secondo me sì! (ride) E’ un brano leggero, ti porta un sorriso, ti lascia freschezza. Proprio stamattina un giornalista criticava il testo, ma secondo me dentro ci sono un paio di frasi niente male. E comunque se una canzone ti lascia leggero, ha vinto. Vedremo…
Andiamo oltre quest’ultimo disco: mi dici qual è la canzone più bella della tua carriera?
“E poi”, perché mi ha fatto crescere molto, ha rappresentato l’inizio di qualcosa di importante: ho scritto anche le parole di quella canzone, ancora oggi riesce a darmi sensazioni nuove, io stessa mi ritrovo a cantarla in maniera diversa, cosa che non mi riesce invece con altri brani che interpreto da quasi 20 anni.
..amaro da digerire quell’ingiusto 7° posto, vero?
Ero incosciente, in poco tempo passata dal Club a Sanremo, non mi rendevo conto di quello che stava accadendo attorno a me. Mi viene da sorridere oggi se penso alle scene di discografici in preda al ‘panico’ e a mio padre teso come non mai. Io sapevo che quel pezzo fosse bello, dentro di me c’era la purezza degli esordi: probabilmente questo mi ha salvato, tutto mi è scivolato addosso in fretta e sono subito ripartita. Ah, poi il numero 7 è sempre stato il mio preferito, per cui…
1995: tu, Mia Martini e Michele Zarrillo, insieme. Cosa ricordi di quell’esibizione?
“Mi fai venire voglia di cantare“, così mi diceva Mimì. Solo oggi capisco quanto contasse una frase del genere, detta a una ragazzina da un’interprete matura, gigantesca. Lei è eterna, aveva la lacrima nella voce, come Billie Holiday. Pensa che le prove di quel programma furono fatte poco prima di Sanremo. Io le feci ascoltare ‘Come saprei’, non ci crederai, ma mi disse: “Con questo pezzo tu vinci“. Portò benissimo, alla faccia di tutti quei maledetti che l’hanno massacrata…
Domanda inutile: meglio lei o Mina?
“Tra cantanti non è una gara a chi ce l’ha più lungo…“, fu proprio Mina a dire una cosa del genere. Non aveva torto, ognuno è unico, a contare è l’emozione che ti dà una voce. Lei è un colosso, una donna spaziale, anche per come ha gestito la sua carriera: oggi che ho 42 anni comprendo il suo atteggiamento, la sua decisione di stare un po’ da parte.
Ti piace molto cantare il cielo: “Di sole e d’azzurro” nel 2001, “La gatta” nel 2004 – canzone notturna, lunare – e “Quando una stella muore” nel 2013. E’ un caso?
Rappresenta tutta la vita spirituale: c’è stato un periodo in cui soffrivo molto gli attacchi di panico, ma bastava uscire di casa e guardare il cielo per riprendersi. La vita interiore è la base, noi esseri umani non dobbiamo fermarci alla ‘fisicità’ della nostra esistenza, ma scavare e dare luce a quella parte più nascosta, probabilmente quella più vera. Il cielo è la risposta a tutte quelle domande che risposta non hanno.
E’ vero che dopo “Dietro le apparenze” avevi pensato di dedicarti esclusivamente all’attività di produttrice?
Una voce, nulla di più. Tra l’altro, non sarei brava a fare il produttore, soprattutto su me stessa. Sugli altri riesco a dire la mia, a dare qualche consiglio. Per quanto riguarda me, mi affido volentieri a Michele Canova, che è un grande professionista, moderno, originale.
A proposito di voci: tempo fa, su Twitter, una serie di messaggi e una foto con Marco Mengoni. Collaborazioni in vista?
In quel periodo stava suonando nel posto in cui sono cresciuta e dove, tra l’altro, era nato mio nonno. A Marco voglio molto bene, nonostante non ci sia mai stata una vera frequentazione da amici: sin dagli esordi ho provato tante emozioni nell’ascoltare le sue esibizioni. Lui è unico, ha qualcosa che altri non hanno. In futuro, chissà: sarebbe bello cantare con una voce così bella.
Dimmi la verità, mancano sei mesi al tour: un po’ di vacanza, oppure torni a fare radio?
Riposarmi sarà difficile, dico sempre che quella è la settimana giusta, poi esce sempre qualcosa da fare. Di certo mi serve un po’ di tempo per preparare al meglio la tournée, dobbiamo tirare fuori delle idee, ma proprio l’altro giorno sono stata a Radio 2, ospite di Max Giusti e… Ho incontrato un sacco di gente, amici veri, sguardi sinceri, mi è venuta una nostalgia tremenda. Mi hai dato una buona idea, ci penserò…
Pippo Baudo: è vero che ti stava molto vicino agli esordi, come fosse ‘un padre artistico’?
Assolutamente sì, ed era anche molto severo. Questo sin da Sanremo 1994: quando ascoltò “E poi” disse subito: “Così non va bene, cambiate l’inciso“. Aveva ragione, perché inizialmente era più chiuso, corto e non apriva, era quasi sullo stile dei Police. Così, su suo suggerimento, ci siamo messi al pianoforte e abbiamo modificato qualcosa. In seguito gli feci sentire “Come saprei”, mi consigliò immediatamente di puntare su quel pezzo per il Festival del ’95. Sai come è andata a finire…
Non voglio annoiarti con l’argomento talent-show, ma la tua amica Diana Winter è stata una delle personalità più interessanti di The Voice… Può sfondare?
La adoro, è bravissima! Diana rappresenta un qualcosa che in italia non esiste. Di interpreti ‘classiche’ ce ne sono tante, è un profilo che abbiamo assimilato dagli anni ’90 in poi. Lei è musicista pura, canta black e riesce bene sia in inglese, sia in italiano. Ha una timbrica particolare, coinvolgente, emozionante, inoltre ha carisma e non guasta…
Chiudo, ti tocca: la canzone nell’armadio, quella che cantavi da ragazzina e che ancora oggi torni a fischiettare nei momenti di relax…
“Love of the common people” di Paul Young, senza dubbio. Ti racconto un fatto: avrò avuto 12-13 anni, presi il testo da “Sorrisi e canzoni”… Aspettavo che i miei genitori uscissero di casa, per dirigermi nella stanza che avesse maggiore riverbero (era il bagno, ebbene sì!). Lì cominciavo ‘a esibirmi’: ancora oggi mi ritrovo a cantarla, quelle parole mi si sono praticamente appiccicate addosso…
(foto by kikapress)
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