L’avrete capito dopo l’intervista con Tommy Vee: io ho da sempre grande curiosità verso il mondo della notte. Negli ultimi tempi il global, da quelle parti, è diventato lo standard, tutto si è livellato (merito o demerito del web) e solo i veri professionisti riescono ad emergere e a dire qualcosa di originale: uno di questi è certamente Claudio Coccoluto, vero re dei club e portatore sano di quell’alto artigianato caro alla consolle. Personaggio trasversale, guarda al Franco Battiato di epoca sperimentale e ricorda con affetto il suo maestro, Marco Trani, dj scomparso poco tempo fa: nessuna puzza sotto il naso quando parla di Sanremo, uguale intensità nell’affermare che negli anni ’90 “la dance era il nuovo rock“. E alla fine arriviamo anche a parlare di Cochi e Renato…
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Il tuo ultimo status Facebook: scrivi che SUONI musica, ma non la CONSUMI…
Facebook è la vetrina di Claudio Coccoluto Dj, sono pensieri che escono dal confronto con altre persone. Credo che ogni dj debba ‘rispettare’ la musica, mi riferisco soprattutto agli aspiranti. Quando scrivo sui social, provo a essere costruttivo: ormai la rivoluzione tecnologica ha sbaragliato la musica, con quelle parole volevo precisare che oggi non c’è niente di male a usare e riusare un disco. Ogni volta quel disco diventa più bello, acquista un nuovo senso e un nuovo significato.
Cosa stai facendo adesso? Ti ho visto da Zoro a Gazebo…
Lì ho recuperato un rapporto di affetto e stima con alcuni amici. Va contro i meccanismi legati ai media, anche perché io non ho mai amato quei contesti in cui devi per forza essere ‘costruito’. Con Diego Bianchi (Zoro, ndr.) e Andrea Salerno queste cose non si fanno e quella di “Gazebo” si mostra come una realtà diversa. Sai, portare i piatti da Diego è stato un piccolo tributo alla cultura del club, quella non apprezzata da una certa politica…
Ultimo album di Giorgia: ci sono anche due pezzi elettro-dance, che te ne pare dell’idea?
Approvo! La musica è gioco e magia, tutti gli elementi sono ‘accoppiabili’, anzi più sono diversi tra loro più danno soddisfazione quando si avvicinano. Purtroppo, in Italia, commercialmente parlando, siamo un po’ indietro. Io ho collaborato con tanti artisti, da Raf a Jovanotti, da Nada a – ultimo – Francesco Sarcina e, credimi, se non c’è condivisione, non c’è nulla di vero da esprimere…
Universo DJ: cos’è cambiato in questi 20 anni?
Tu hai tuoi dischi, i tuoi cd? Li butteresti mai? Non credo… Oggi con gli iPod è cambiato tutto: è cambiato il rapporto con la musica, bisogna fare spazio a qualcosa di nuovo e, anziché conservare, si butta tutto nel cestino, si fa pulizia. E i tempi sono diversi anche in materia commerciale…
Cioè?
Di base gli stessi media – alcuni – hanno le loro colpe, ma è soprattutto chi si occupa di marketing a sbagliare certe valutazioni. La musica può anche andare in tv, non ci sono solo i talent show: Bollani su Rai Tre è una ventata d’aria fresca, per fortuna che c’è. Poi, però, non ti spieghi perché chiudano il programma di Bertallot su Radio 2, era un prodotto illuminato e illuminante.
Una volta ti divertivi di più a fare questo mestiere?
Come prima, più di prima. O quasi: oggi c’è un divertimento più consapevole, quando si cresce, spesso si matura e si apprezza di più tutto quello che si fa. Ricordo quando tra il 2008 e il 2010 attraversai un momento di sconforto, non mi ritrovavo più. Avevo perso la bussola, oggi sto bene e sono contento.
Bootleg, remix e mash-up: c’è qualcosa che ti piacerebbe fare? Parlo di grossi nomi, eh….
M’interessa moltissimo il periodo elettronico-sperimentale di Franco Battiato: sarebbe bello avvicinare le sue esperienze dell’epoca con la musica di oggi. Ti confesso che questo resta uno dei miei progetti, un sogno nel cassetto. Battiato è ancora molto moderno e amante della sperimentazione.
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Che ne dici del remix di Benny Benassi per Ligabue?
Non l’ho ancora sentito, ma ho troppa stima per Benny e sono certo che avrà fatto un lavoro colmo di impegno e di passione. Lui è da sempre un professionista eccelso.
Sei stato più volte giurato al Festival di Sanremo: lo rifaresti?
Volevo dimostrare che la musica da club, le discoteche e tutto quello che riguarda il mondo della notte non è assolutamente marcio. Sono stato all’Ariston due volte con Baudo e una con Fabio Fazio e credo abbia fatto bene sia a me sia a tutta la mia categoria, nonostante qualcuno dei miei colleghi non abbia completamente approvato quella scelta.
Qualcuno dice che non hai apprezzato le performance di Annalisa, Malika e Mengoni, cosa c’è di vero?
Meglio chiarire, sì: Marco Mengoni è stato perfetto, avevo pronosticato la vittoria già la prima sera. Annalisa non mi dispiace, ma quelle canzoni non mi avevano fatto impazzire, stessa cosa per Malika: è andata in gara con il più ‘debole’ tra i due brani presentati, secondo me avrebbe avuto maggiore successo con quello escluso.
Anni fa ti si vedeva spesso all’Isteria di Roma: era un luogo caro al tuo amico Marco Trani…
Il mio maestro, c’è poco da fare. Ricordo quando, tanti anni fa, mi scoprì a suonare dentro un localino vicino Frosinone: fu proprio lui a portarmi all’Isteria, il più bello tra i locali di Roma, e a farmi fare da suo ‘secondo’. Sono felice che voi come altri lo abbiate ricordato, oggi a lui farebbe piacere, era molto vanitoso… (ride).
Esiste un modo per far ‘passare in tv’ la vostra professione? Magari un programma ad hoc?
Come sai, quello del dj è un mestiere che non si insegna. O, meglio, bastano venti minuti, poi è tutto da personalizzare: dipende molto dal percorso, dalla cultura e dalla sensibilità dell’allievo (chiamiamolo così). Sul web ci sono cose in proposito, la tv fa molto poco: prossimamente su Rai 5 partirà un documentario dove anch’io sono presente, una cosa davvero interessante che mi sento di consigliare.
Insomma, la dance ha sempre difficoltà a ‘passare’…
Alcuni giornalisti, non tutti, hanno un po’ di puzza sotto il naso. Va riconosciuto che gli anni ’70 e ’80 erano quelli del rock e delle grandi evoluzioni, ma dagli anni ’90 in poi è stata proprio la dance a fare da colonna sonora alla società italiana. Ecco, penso che la dance sia il nuovo rock.
Cito testualmente Wikipedia: “2008, Vynil Heart, raccolta di 14 tracce realizzata in un’unica sequenza di vinili ed effetti mixati a mano libera come in un club”. Cosa significa?
Si lavora sempre in base al pubblico, al contesto che hai di fronte. Un po’ si improvvisa e un po’ si bada alla tecnica, di base dovrebbe essere equamente diviso a metà, come metodo. Non amo i virtuosi, i funamboli della consolle: la pretesa dell’arte non c’è, non esiste. Oggi il nostro mestiere si mischia a quello dei produttori, una volta non era così, la tecnologia ha cambiato tutto e “avvantaggiato” i giovani, ma è pura illusione, perché anche per produrre ci vuole tanta gavetta.
Qual è la tua canzone chiusa nell’armadio, quella più ‘cialtronesca’, quella che ti divertiva da ragazzino e che ancora oggi ti ritrovi a fischiettare per casa?
Non ci devo pensare, è presto detto: mia moglie ‘odia’ questo pezzo, forse l’unica cosa che non apprezza riguardo i miei gusti. Una volta, dopo Carosello, andava in onda la trasmissione “Il poeta e il contadino”, con Cochi e Renato: “La gallina” era una piccola genialata. Dietro pezzi di quel tipo c’era un certo Enzo Jannacci, queste non erano canzonette, ma musica intelligente, proprio come oggi è (o dovrebbe essere) la satira.
(foto by Uff. Stampa)
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