Selezionare musica da proporre al pubblico, al proprio pubblico. Che sia formato da duecento o due milioni di persone: questo facevano i disc jockey alla radio (quando era loro permesso), lo stesso capita da sempre con i dj dei locali che fanno (più o meno) tendenza. Tommaso Vianello, in arte Tommy Vee, è un ragazzo che ha passato i 40 anni, ma che fa musica da oltre 20, che ha aperto un concerto di Laura Pausini e operato remix su Vasco Rossi e Jovanotti. Per quel che mi riguarda è una delle interviste più lunghe della mia carriera: questo vuol dire, da una parte, che non mi sono annoiato, dall’altra che lui, Tommy, aveva e ha qualcosa d’interessante da dire.
Mi colpisce e ci accomuna un certo amore per il jazz e lo swing, non quello pretenzioso degli ultimi tempi, e scopro che lì fuori dalla finestra c’è sempre tanto da imparare, ascoltando coloro che – solo apparentemente – sono diversi da te. Andiamo a cominciare…
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A cosa stai lavorando in questo periodo?
Tante cose! Un paio di produzioni, un remix importante per Frankie Knuckles, inoltre mi sto preparando all’ADE di Amsterdam: dopo quella di Miami è la seconda fiera più importante specializzata in dance. Ho anche un pezzo in uscita con The Cube Guys, ragazzi molto validi che sto curando insieme al mio socio, Mauro Ferrucci.
Alcuni giorni fa ho incontrato Gazebo: sei mai stato fan o seguace della Italo Dance?
Calcola che io ho 40 anni, la mia è una generazione diversa. Ho un particolare ricordo di “I like Chopin”: da ragazzino ero sovrappeso, non praticavo sport, ero negato. I miei cugini mi invitavano alle feste, ma solo per cambiare i dischi, un po’ come quello che suona la chitarra ai falò! All’epoca ascoltavo già musica di matrice americana, ero meno incline alla musica “mediterranea”, più amante del funk e del soul…
Sei sulla scena da più qualche anno: primi pensieri?
Primo disco di successo a 22 anni: “Laguna” ebbe un riscontro spropositato, inatteso, entrò nella top ten inglese. Dal punto di vista discografico le grandi soddisfazioni sono arrivate prima della mia partecipazione al Grande Fratello, ci tengo a dirlo: sono co-produttore di DB Boulevard, produttore di Moony. La Pausini l’ho remixata nel periodo precedente, lei pensava che non fossi italiano, pensa te…
Insomma, cosa è cambiato in questi 20 anni…?
Alla base c’è il crollo del business discografico, ora le cose stanno migliorando. Fino a tre anni fa una vera bolla. Ora non c’è più nessuno che si occupi di filtrare la musica che arriva all’utente. Oggi il web da’ spazio a tutti, tutti possono promuovere la propria musica: non sempre è un bene, una volta l’etichetta si assumeva delle responsabilità, con delle scremature alla fonte…
Oggi decide il pubblico…
Esatto, in certo senso è proprio così! Se un prodotto piace al pubblico della rete (le visualizzazioni su YouTube fanno la differenza), i discografici corrono meno rischi e tendono a produrre risultati quasi garantiti. Così quelli bravi fanno fatica ad emergere…
Insomma, si è passati dal talent scout al talent show e neppure ce ne siamo accorti?
Calcola che l’utente finale dei talent, l’ascoltatore medio, ha un orecchio inferiore rispetto a quello professionista e, quindi, può essere attratto da testi, melodie e arrangiamenti di facile presa. Ma sono quelle ad avere il fiato più corto, quelle che rischiano di durare 2-3 anni. Così, obiettivamente, non si va da nessuna parte. E’ musica a uso e consumo…
Ormai è un’abitudine quella dei duetti rap-melodici (vedi Fabri Fibra-Carboni). In italia la dance può aspirare a un ruolo di questo tipo?
Stefano Fontana sta facendo un’esperienza di questo tipo, Lorenzo Jovanotti ha lavorato con Benny Benassi, io stesso ho fatto un progetto di mash up con Vasco Rossi a Castellaneta Marina, mescolando suoi pezzi con alcuni grandi classici del rock. A lui piacque molto, vediamo ora cosa accadrà.
Anche in questo c’è una differenza sostanziale tra Italia e resto del mondo, vero?
La musica italiana ha dei clichè ben precisi: è un genere a sé, non sempre si può sposare con certi arrangiamenti. Un artista pop americano spazia tra indie rock, r’n’b, dance, hip hop: è più soggetto a tendenze momentanee. In Italia c’è la melodia, il sentimento e noi stessi rappresentiamo una tendenza assoluta: pensa a Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Zucchero, Tiziano Ferro… Loro sono riusciti ad andare oltre confine e a farsi apprezzare, alla grandissima.
Parliamo di gusti musicali: ami jazz e swing, come mai?
E’ legato tutto alla mia infanzia: mia madre ascoltava Burt Bacharach, Nat King Cole e tutta la musica leggera degli anni ’60, da Neil Sedaka a Paul Anka. Mio padre è un fan sfegatato di Frank Sinatra: io adoro quelli come lui, come Tony Bennett…
Inusuale che un deejay, seppur famoso, apra il concerto di una cantante, tu l’hai fatto con la Pausini: come ti sei trovato?
Quest’anno ho aperto anche il concerto di Vasco, a Torino. Situazioni poco vicine al mio approccio, il mio background è lontano da quello di Guetta: io amo i club, non sono un performer, uno che “impone” qualcosa. Cerco di interpretare, col mio gusto, quello che trovo davanti agli occhi, i “desideri” del pubblico. Tornando agli stadi e ai grandi artisti, lì devi fare una selezione che possa non “disturbare”: da Laura, ad esempio, i fan sapevano che noi due fossimo amici, e lei mi permise anche di proporre alcuni suoi remix, cosa che invece Vasco si guardò bene dal fare. Lui è molto più furbo… (ride)
Matilda, Il Muretto di Jesolo, Extra Extra Padova: sei stato resident in questi locali: aneddoti, ricordi, curiosità…?
Bob Sinclar: sono stato il primo a farlo venire in un locale italiano, all’Extra Extra. Grande stima per gente come Frankie Knuckles, il papà di tutti i dj, poi David Mancuso, Larry Levan, loro hanno proposto le prime vere tecniche di missaggio. Tornando alla tua domanda, ricordo i primi incontri con Morales: roba pazzesca, faceva tre o quattro ore di set, “pretendeva” frutta e champagne in consolle, atteggiamento da star pura…
Chi ti ha insegnato il mestiere?
Si ruba, non esiste una scuola vera e propria: ammetto di aver appreso tanto da due maestri, uno è stato Massimo Bianchini, l’altro il grande Giuliano Veronese, uno che “picchia” ancora come un ragazzino. Eclettico da morire, pensa che al mio compleanno si è presentato col vinile della colonna sonora del film “Venezia, la luna e tu”, quello con Alberto Sordi. Spiazzò tutti, che spettacolo!
Mentre Jovanotti è uno dei tuoi miti, vero?
Ho remixato la sua “Safari”. Lorenzo è un mito: fu il primo a spiegare il rap ai ragazzi della mia età. Avevo 13-14 anni, ero fomentato da tutto questo. Lui fu un grande divulgatore di questa cultura, è colpa sua se io oggi faccio questo mestiere. E’ uno inclassificabile, rapper a metà, cantante a metà. Carriera pazzesca…
Qual è l’approccio che avete voi professionisti dei piatti per un bootleg o un remix vero e proprio? Quali sono i passaggi?
Il termine remix dovrebbe essere usato solo per cose ufficiali, prodotti fatti “su commissione”. Un dj decide di fare un bootleg, quando i remix esistenti non lo appassionano più di tanto: in questi giorni Benny Benassi ha fatto il bootleg de “Il sale della terra” di Ligabue, ma per divertirsi, per piacere personale. Lui è artista di fama internazionale, il più importante che abbiamo in Italia.
Double Dee è “diventato” Danny Losito: lui è passato alla musica pop, a Sanremo e The Voice, tu hai mai pensato di fare lo stesso percorso?
E’ un mio grandissimo amico, stiamo lavorando a una cosa insieme, lui è un gran talento, grandissimo professionista. Lui mi dice che dovrei cantare, ma io non ci penso nemmeno: posso dare qualche consiglio, qualche giudizio, ma mi fermo lì, ognuno ha il suo mestiere. Vengo dalla scuola del soul, dell’ R’n’B, gente che canta particolarmente bene. Penso a John Legend, allo stesso Danny, lui sembra che abbia l’auto-tune in gola…
Grande Fratello: giusto due parole…
Dopo il GF ho sofferto moltissimo: dal punto di vista professionale mi sentivo quasi frustrato. Andavo nei locali, mi fotografavano a ripetizione, mi applaudivano a prescindere, non per quello che facevo alla consolle, ma perché ero Tommy del Grande Fratello. Nessun rimpianto, ma io amo essere apprezzato per il mio lavoro, non per il mio nome o il mio volto.
Nel video di “Bang Bang” c’è atmosfera western: sei mai stato attratto dalle colonne sonore di quel genere di film?
Il genere che amo di più è quello legato al cinema di Al Pacino, De Niro, Joe Pesci, ma come negare il fascino di Ennio Morricone? Atmosfere pazzesche le sue: pensa a “Giù la testa”, capolavoro assoluto che forse aveva poco a che vedere con il western. E’ lì che senti il genio di Morricone…
Chiudo: la tua “canzone chiusa nell’armadio”, quella che amavi da ragazzino e ancora oggi ricordi con piacere e canticchi nei momenti di relax
Il valzer di Lupin era favoloso, ma il top resta la sigla di “Magnum P.I.” e ti spiego perché: perfetto incrocio tra la grinta funky della parte iniziale e l’apertura orchestrale dello special. E’ la mia anima musicale: io sono per le atmosfere ultra aperte, quelle che ti fanno sognare.
(foto by Uff. Stampa)