“Ci sono autori che vanno studiati, approfonditi. Gaber è ancora capace, attarverso le sue canzoni, di dare consigli e insegnamenti…“. Noi che proviamo a raccontare un concerto o un cantante veniamo spesso accusati essere molto cronisti e poco critici. La mia filosofia è un’altra: meno si scrive e si parla di un artista, meno interessa. Annalisa è una di quelle che apprezzo di più, probabilmente è la migliore della sua generazione, perché seria e leggera, intensa e sempre in grado di stupire. Sa fare bene almeno tre cose: cantare, interpretare e comunicare. Per chi fa questo mestiere è già tanta roba. Mai banale e mai noiosa: se non cambia, non ce n’è per nessuno.
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Protagonista della prima serata del Festival Gaber – Speciale Decennale, Annalisa porta sul palco di Viareggio due brani parecchio diversi tra loro, quasi come se la Cittadella fosse il Teatro Ariston di Sanremo: “Non arrossire” è un’innocente dichiarazione d’amore, la stessa presa in prestito da Baglioni per la sua raccolta di canzoni vintage (Quelli degli altri – Tutti qui, ndr).
La parola Io
Il pezzo forte è “La parola Io“, un testo da pelle d’oca, un incedere armonico che la Scarrone rende alla perfezione. Lei stessa dice: “Per me il Festival Gaber rappresenta un’esperienza importante e questo è un brano clamoroso. Mi tocca da molto vicino, è stata un’occasione di riflessione, mi ha fatto sorridere ripensando a vicende personali…“.
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Un brano, “La parola Io”, che Annalisa confessa di avere davanti tutti i giorni davanti ai suoi occhi, una canzone attualissima, che sembra scritta l’altro ieri. Come altre perle di Giorgio Gaber, anche questa fa un percorso a sinusoide: sale e scende e poi risale. La cantante ligure è bravissima nel tenere alta la concentrazione e pulitissima l’interpretazione: ascoltarla da sotto il palcoscenico accresce la stima che nutrivamo nei suoi confronti. Brava lei, incantevoli questi versi: “..questo dolce monosillabo innocente è fatale che diventi dilagante nella logica del mondo occidentale forse è l’ultimo peccato originale“. Dovevano clonarlo, Gaber.
(foto by Velvet Music)
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