La leggenda del chitarrista sul fiume. E’ parafrasando Giuseppe Tornatore che possiamo raccontare una serata “illuminante”. Roma accoglie il suo Alex Britti con una folla di quasi 5.000 persone, l’aria che si respira è quella delle grandi occasioni (ma non delle mezze stagioni, considerata la forte umidità).
Pochi giorni fa abbiamo incontrato il musicista romano: “Sarà un concerto, non uno show“. Un bell’impegno, nessun tentativo di sminuire quanto sarebbe accaduto sulla scena del Centrale Live: tirando le somme, circa 3 ore di musica, brani di ieri e di oggi, momenti strumentali (compresi gli assoli dei musicisti, di primissimo livello) e tanto spazio ai ricordi che accompagnavano i brani in scaletta. La nostra opinione? Non è stato uno spettacolo, ma un concerto spettacolare.
ALEX BRITTI ALLE PERCUSSIONI
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Tre
Diamo i numeri. “Tre” è il titolo di un album di Alex, datato 2003, tre sono le t-shirt che vengono “consumate” durante la lunga serata, tre le chitarre che passano tra le sue mani. Tre sono anche le ore trascorse in sua compagnia e, infine, tre gli ospiti (inattesi) dell’evento: Stefano Di Battista (ad avercene di così bravi), il comico Dado e Pierdavide Carone. Tre abituè di casa Britti, Alex ci tiene a sottolinearlo: “Il mio primo lavoro è fare il cuoco per gli amici, poi suono e canto per hobby“.
La leggenda del chitarrista sul fiume
Oltre 20 brani in scaletta, perfettamente amalgamati: si parte con “Gelido”, una garanzia. Uno dopo l’altro le hit di ieri e le belle intuizioni recenti: tra queste spicca subito un’ode al proprio paese (“A 20 anni sono scappato dall’Italia, ho resistito poco lontano da qui, non sono d’accordo con chi se ne va…“), un vero omaggio all’Italia, “Fino al giorno che respiro“. Il pubblico conosce a memoria i brani storici del suo repertorio e spesso fa il coro: da “Una su un milione” a “La vasca”, da “Oggi sono io” a “7.000 caffè”. C’è un brano strumentale dell’ultimo disco che rimanda al film di Tornatore: “Velox” è un marchingegno di fantasia, capace di multare chi sul palco non rispetta i limiti (di velocità). Le mani di Alex sono un’iradiddio, scorrono sulla tastiera che è una meraviglia: le corde fumano, proprio come nel duello tra Novecento e Jelly Roll Morton…
Dal Mississipi al Tevere: Milano!
“Lo so, faccio tanti assoli, ma tra due giorni qui ci sarà Santana: fate divertire un po’ anche me“. Quasi si scusa il prode Alessandro per la sua mania di inseguire lo strumento, di violentarlo con dolcezza. Scusate l’ossimoro, ma ci sta. Basta guardarlo. Racconta la genesi di “Milano“, dei mesi trascorsi nella città meneghina: “Avevo tra le mani questa chitarra di ferro, come quella dei musicisti blues, i neri del Mississipi. Io non ero nessuno in confronto a loro, io avevo solo il Tevere. Così ho messo insieme Tevere e Mississipi ed è uscita fuori Milano. Boh, sarà per i Navigli, chi lo sa…“. Lunga introduzione e coda quasi infinita: l’esecuzione dura circa 10 minuti. Alex Britti non ha nulla da invidiare ai suoi maestri americani.
Il gran finale
“Ho inciso, da fan, un pezzo inedito del mio mito Stefano Rosso. Da ragazzino, a 13-14 anni, andavo spesso a sentirlo al Folk Studio, là dove Stefano se la comannava…“. Britti sceglie il romanesco stretto per raccontare qualche aneddoto d’infanzia: canta “Gli occhi dei bambini“, dedicandola al suo mito del passato. Dopo l’improvvisazione con Stefano Di Battista (da pelle d’oca) e la sempre emozionante “Jazz”, chiama sul palco Dado e Pierdavide, il finale è racchiuso in “Baciami” (i cori sono stati incisi proprio dal talento di Amici) e, soprattutto, in “Solo una volta“. Tutti sotto il palco, follia collettiva: si canta, si balla, si fa festa. Poi si spengono le luci e il chitarrista se ne va, dall’altra parte del fiume.
ALEX BRITTI IN “7000 CAFFE'”
(foto by kikapress.com)
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