Sono da poco passate le 21 di questo afoso 19 luglio quando Massimo Bernardini apre la prima serata del Festival Giorgio Gaber – Speciale Decennale. Non è un cerimoniere, piuttosto un narratore che riesce a ricordare, senza scadere nella retorica, quanto accaduto 4 anni prima a Viareggio: qui c’è un popolo in attesa di giustizia. Passiamo alla musica perché è di questo che ci occupiamo: beh, difficile trovare il momento più emozionante di questo concerto sui generis. Renzo Rubino mostra grinta in “Se io sapessi”, eleganza e intensità ne “L’abitudine”, il suo collega di gioventù – Pico Rama – sembra un veterano: interpreta “La chiesa si rinnova” in maniera convinta e convincente e quando va via dice: “Non sono troppo famoso per fare due pezzi, dai…”. Umiltà.
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Tra riso e commozione
Struggente la lunga performance di Paolo Jannacci: dopo una commovente “Vincenzina e la fabbrica”, ecco “Com’è bella la città” che diventa un valzer scanzonato. Applausi a scena aperta anche grazie alla presenza del pregevolissimo trombettista Daniele Moretto. L’evento tocca l’universo del varietà puro quando Paolino chiama sul palco Dalia Gaber per un dialogo sullo stile del ben noto “Io mi chiamo G”, riveduto e corretto da Michele Serra. Si ride, ci si commuove. Jannacci-Gaber, ancora insieme, per sempre.
Un’idea molto rock…
Da un siparietto a un altro, perché il duopolio imperfetto Papaleo-Iacchetti gioca sovente a pestarsi i piedi, ma a vederli così, dietro le quinte, si capisce l’affiatamento e la voglia di divertirsi che li accomuna. Bella coppia, da riproporre quanto prima. Musica, musica: Nino Formicola cattura il pubblico della Cittadella con la sua “Donne credetemi”, mentre Enrico Ruggeri fa quello che sa fare meglio: il rock. “Un’idea” fatta così rappresenta un momento speciale e lui dimostra di avere sempre la grinta di un ragazzino: gioca su “Lo shampoo”, poi gira, salta e balla sul palcoscenico in duetto con Rocco Papaleo, “Destra Sinistra”. E andiamo…
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Annalisa: quanti applausi!
Gli occhi spiritati di Simone Cristicchi danno linfa nuova all’attualissima “Io non mi sento italiano”, ma tre donne dal fascino magnetico arricchiscono una serata praticamente perfetta, a cominciare da Annalisa (osannata dai giovanissimi). Da pelle d’oca ne “La parola io”, delicata nella sua dichiarazione d’amore personale, “Non arrossire” (“la canzone con la quale ho conosciuto il mondo di Gaber”). Andrea Mirò “gode” nel cantare “Il conformista” e si conferma interprete sopraffina con il crescendo di “Suona chitarra”. Chiudiamo con Mercedes Martini: i suoi monologhi fanno tornare alla mente l’originale Signor G e, seppur encomiabili, ricordano che Giorgio Gaber era unico, raro, italiano. E’ anche grazie a lui se ci sentiamo, orgogliosamente, italiani.
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