“..ed un’alba slavata da mandare affanculo, perché c’è un nuovo giorno nel pugno e una birra ghiacciata da gelarci l’inferno, perché loro siamo tutti o nessuno and the show must go on…” (The Show Must Go On, 2007).
Il grande privilegio di scambiare due chiacchiere (anche tre) con Giorgio Faletti: in assoluto, per me, una delle interviste più belle degli ultimi anni. Uno che ha dimostrato di saper comunicare, con tante anime e molteplici facce. Soprattutto, continua a stupire, a spiazzare. Come mi hanno insegnato, il vero “comico” è colui che ti porta da una parte e poi cambia tutto, in un momento. Giorgio, che mi chiede subito di darci del tu, lo ha fatto nel 1994, quando a Sanremo sbalordì con “Minchia Signor tenente“, continua a farlo oggi con la musica: dopo anni passati a vendere milioni di copie dei suoi romanzi, si ricorda di essere autore di canzoni, riprende quelle scritte per altri (Mina, Milva, etc.) e le fa sue. Un doppio cd (“Da Quando a Ora“) che include anche alcuni bellissimi inediti: su tutte “Angelina“, “Una storia per gli altri“, “Nudi” e “Una corriera stravagante“. Lunedì 1° luglio lo rivedo a Roma (Villa Ada, ndr.) in concerto: la curiosità aumenta, soprattutto dopo tutte le sue risposte. Volete dei tag? Va bene: Fiorella Mannoia, Sanremo, Asti, Francesco De Gregori, Talent Show, Orietta Berti, Enrico Ruggeri…
Parliamo di ieri, oggi e domani, sarà un’intervista totalizzante…
Totalizzami , totalizzami!
Hai detto: “Ho scritto un libro come si scrive una canzone. O forse ho scritto delle canzoni come si scrive un libro…“. Quindi?
Una storia, sia condensata in 4 minuti o stesa in 400 pagine, ha sempre necessità di narrazione che abbia, a sua volta, un’identica origine. Come afferma Morricone “Un lavoro è 10% ispirazione e 90% traspirazione“. Insomma, come si dice al bar, bisogna farsi il culo, bisogna sudare. Entrambe le cose hanno, comunque, un’immensa passione: ho imparato che nella vita va fatto tutto con passione.
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So che per la tua “Angelina” hai ricevuto i complimenti di De Gregori: come nasce questo pezzo che, tra l’altro, ha stupito anche me?
Le idee arrivano quando vogliono loro. Ero in coda da un gelataio di Asti: c’erano due adolescenti, avendo io una barba, ero per loro un uomo invisibile. Lei raccontava le sue pene d’amore: per me tantissima tenerezza mista alla consapevolezza che un giorno avrebbe dimenticato questa storia. Tornato a casa, ho lavato mani e baffi dal residuo del gelato e ho preso la chitarra: quel che avrei voluto dire a lei, l’ho messo dentro una canzone.
Molto bella “Una storia per gli altri”, interessante anche la voce femminile…
Una mia concittadina: appassionata della musica, è la fidanzata del figlio di uno dei miei migliori amici. Questo particolare era un deterrente: così ho deciso di fare un casting, perché desideravo una voce sconosciuta. Appena è partito il suo provino, ho capito che era lei la voce che cercavo. Mi fa piacere poter insegnare ai giovani quello che ho imparato dalla vita: calcola che non sono più di primo pelo… (ride)
Da Vito Catozzo a Suor Daliso: so che non rinneghi quel passato, da dove nacque l’esigenza di fare il comico?
Nasce dopo una delusione: a 14-15 anni volevo già fare lo scrittore. Ma immaginavo quanto fosse difficile per un adolescente indisciplinato stare davanti a una macchina da scrivere. Quella del comico era la strada “più facile”, una strada incline al mio carattere: calcola che ero anche un po’ sfaticato. Col tempo, pur non perdendo l’attitudine all’umorismo, ho chiuso il cerchio magico e il mio sogno si è avverato.
Ho ascoltato più volte “Da Quando a Ora”, sai che mi sa di Teatro Canzone in stile Gaber…?
Bello questo paragone, mi lusinga ed è tecnicamente calzante. Finito il disco, tra l’altro, ho continuato a scrivere canzoni: come dice spesso il mio amico Branduardi “l’appetito viene mangiando”. Ho deciso di tornare sul palco dopo oltre 10 anni. Lo ammetto, il palcoscenico è il mio habitat naturale e questo mini-tour rappresenta una bella “iniezione di gioventù”, sono molto felice di avere tra il pubblico un giovane come te.
Non c’è traccia, nei tuoi inediti, di un pezzo tra l’ironico e il “cialtronesco”, è piuttosto un doppio cd molto romantico, molto “attuale”…
La canzone ironica è molto più difficile di qualsiasi altra: basta un nulla per scadere in qualcosa di involontariamente cialtronesco. Ultimamente ho scritto una canzone che mi diverte tanto, “Elogio del naso”. E’ un organo un po’ negletto il naso, è fuori da tutte le poetiche, andrebbe nobilitato! (ride) Era il caso di scrivere una canzone con tenerezza e un po’ di innocenza.
Oggi c’è un artista per il quale o la quale ti piacerebbe scrivere…?
Francesco De Gregori. E’ uno che ha rinnovato il linguaggio. Mi piacerebbe fare qualcosa non per lui, ma accanto a lui. Una volta mi sono svegliato con in testa “Santa Lucia”. L’ho suonata per giorni alla tastiera: mia moglie minacciò di chiudermi in camera: non voleva odiare De Gregori a causa mia! Per il resto, vorrei scrivere qualcosa per Fiorella Mannoia. Chissà…
A Sanremo torneresti volentieri?
Il Festival è una bella vetrina: se hai qualcosa da dire, puoi provarci. Tornassi lì, dovrei portare una canzone dal grosso impatto: un pezzo ironico potrebbe spiazzare il pubblico, confonderlo. Proprio come feci nel ’94: “Minchia Signor tenente” è stato lo spartiacque della mia carriera, quella sera ho capito che potevo cominciare ad andare oltre una forma di comunicazione, diversa da quella meramente umoristica.
Restiamo sul tema TV: che opinione hai dei Talent Show?
Diciamoci la verità, i Talent sono sempre esistiti: vivevano all’interno delle cantine, dove suonavano gruppi come la PFM, l’Equipe 84, i Pooh e tanti altri. Se penso all’oggi, mi viene un sospetto, cioè che la cosa sia “auto-conclusiva”. La vittoria di un Talent rischia di essere la fine di una carriera e non l’inizio: se sbagli una mossa, ti bruci e poi è dura riprendersi.
C’è una roba che canticchiavi da ragazzino e ancora oggi, nei momenti di relax, torni a fischiettare?
Da giovanissimo ero un tipo molto rock. Tuttavia, ogni tanto mi sorprendo a fischiettare una canzone di Orietta Berti: lei col tempo è diventata un’icona, almeno per un certo tipo di pubblico. “Finché la barca va” è uno di quei motivetti che superano la barriera del tempo. Come dice il mio amico Enrico Ruggeri, ci sono tre giudizi da superare: quello della critica, quello del pubblico e quello del tempo. Se vai oltre, vuol dire che hai fatto una cosa buona.
(foto by facebook)
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