“Frankenstein” non è un disco che puoi ascoltare distrattamente. Non sono canzoni da cantare sotto la doccia. Come dice lo stesso autore, Enrico Ruggeri, è un disco demodé. E lo dice orgogliosamente. Una bella chiacchierata, per me un esame superato, perché con Enrico abbiamo parlato di oggi e di domani, evitando di commemorare tutto quello che di buono ha fatto nella sua carriera. Sarebbe stato facile e riduttivo. Bello l’ultimo singolo, “Diverso dagli altri“, quando fa: “..ho un’anima speciale che nessuno vedrà, non so cos’è la tenerezza, una carezza non l’ho avuta mai ed ogni sentimento muore dentro e, così come voi, nel profondo di me non conosco amore“. Bello tutto l’album, come ha scritto Nicola Savino su Twitter: “Dopo un mese dall’uscita ti accorgi che #Frankeinstein di @enricoruggeri è un discone“. Un album diverso dagli altri, non migliore – come lui stesso ripete più volte – che si presta a una doppia (tripla) lettura, a una serie di ascolti, ognuno diverso dall’altro. L’intervista ha numerosi “Tag”, dai Decibel a David Bowie, da Ale e Franz a X-Factor, da Giorgio Gaber a Pico Rama. Ruggeri figlio, testardo e diverso dagli altri, proprio come il padre…
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Un disco che fotografa il presente, con lo sguardo al futuro? Mi riferisco soprattutto a “Aspettando i superuomini”, “La folle ambizione”, “L’infinito avrà i tuoi occhi”
Tutti i racconti della vita riguardano il presente, pensando a passato e futuro, con i vari corsi e ricorsi. “Aspettando i superuomini” è il tentativo di arrivare alla parte illuminata di noi. Il superuomo è la nostra proiezione, Nietzsche è stato equivocato, quasi strumentalizzato: sosteneva che ognuno di noi ha una parte miserrima e cialtrona e un’altra celeste, quella alla quale dobbiamo arrivare. “L’infinito avrà i tuoi occhi” è uno sguardo alla prossima vita, alla prossima dimensione, una conciliazione col pensiero della morte.
“Aspettando i superuomini” è quasi due canzoni in una: un po’ come facevano Battisti e Panella, se posso permettermi…
Io ho sempre amato il rock progressive: erano anni in cui queste cose erano naturali, basta ascoltare i dischi degli Yes, il primo Bowie, i Jethro Tull o Emerson, Lake & Palmer, epoca in cui le canzoni avevano parti distinte, ma sono oltre 20 anni che la musica ha un tempo unico, ha cambiato forma.
Un disco demodè?
Beh, sì: ho fatto mia la frase del presidente della Sony: “Frankenstein” è un album meravigliosamente fuori moda, non usa nessuno dei canoni che vengono usati oggi, ma va benissimo così.
C’è qualcosa dei Decibel in questo lavoro così “sofferto”? Magari in alcune fasi sonore, che dici?
Può essere, certo: c’è qualcosa della voglia che ho di stupire me stesso, di non avere regole, di vivere in libertà la composizione, senza l’ansia di stupire a tutti i costi…
“Per costruire un uomo”, citazione latente dei Nomadi e “Per fare un uomo”?
Non c’ho mai pensato, ma è un tema che non avrò certo trattato per primo.
Un album che sembra quasi un insegnamento ai tuoi ex allievi di X-Factor: “sforzatevi, la musica porta via tempo, ma si dovrebbe fare così…”
In un mondo perfetto la musica si farebbe in questo modo, non perché io sia migliore degli altri, ma perché sono da sempre uno libero da condizionamenti. In studio non abbiamo mai detto “Facciamo così questa canzone, così la passano in radio“. Nessuno ha mai ragionato in quella direzione.
Pico Rama, tuo figlio: di lui hai detto che, come te, ha scelto la strada dell’impegno, dovrà scalare montagne, contro la superficialità altrui…
Premessa: è sempre delicato recensire il proprio figlio, sono andato in punta di fioretto. Se ascolterai l’album, o anche solo il suo primo singolo, capirai che il suo tessuto, rap o hip hop, guarda a Frank Zappa o Battiato. Pico è stato molto coraggioso, soprattutto in un periodo in cui i rapper stanno scalando le classifiche con cose parecchio diverse.
Tempo fa avevi ringraziato Paolo Vallesi per le belle parole spese su di te, credo su Vanity Fair..
Le classifiche di vendita non tengono conto dei valori umani, sono due cose profondamente distinte tra loro: ci sono persone per bene, intelligenti, ma vendono meno di altre persone che, oggettivamente, hanno altre qualità.
Di “The Voice” hai detto: “questi ragazzi vivono un’altalena emozionale terribile. Quando cominciavo io ti davano anni di tempo per esprimere un progetto artistico“.
Esprimevo la mia solidarietà a questi ragazzi che nel corso di una sola serata vivono un’ansia altissima, incontrollabile. In generale, nulla da eccepire verso i Talent Show: c’è una verità, lì vengono scelti quelli che cantano meglio, ma quelli che durano trent’anni anni sono coloro che dimostrano di avere più cose da dire. La voce non è tutto.
Hai detto che questo è l’ultimo disco: ora come Baglioni ti butterai anche tu su iTunes e basta? Possiamo svelarlo?
La sua è una procedura molto più attuale: io non ho idea di cosa farò in futuro, devo attrezzarmi per il prossimo scenario, ma la prospettiva di fare un pezzo ogni due mesi non mi alletta particolarmente, non è il mio modo di lavorare.
Un concept album d’amore: attualità, bioetica, odio, ma di base è una lunga storia d’amore, almeno secondo me…
C’è molto amore, senza dubbio, ma con doppie chiavi di lettura. “Il tuo destino è il mio” ne è la prova, con Frankenstein protagonista di una dichiarazione d’amore. Lo stesso vale, ad esempio, per “L’infinito avrà i tuoi occhi”, penso a “prima di morire avrò fissa in faccia la tua immagine”.
Ultime due cose: per me è un disco molto teatrale, sembra quasi un tentativo di teatro canzone alla Gaber, seppur meno “brillante”, passami il termine..
Gaber è stato un maestro, era uno che ascoltava molto i francesi, la mia formazione è ben diversa: cantante di un gruppo punk che si è scoperto “cantautore in corsa”. La cura che abbiamo dei testi, quella sì che è simile: del resto, la canzone è una meravigliosa occasione per dire delle cose che restino e non semplicemente dei fonemi per stupire in quel particolare momento.
“Diverso dagli altri”, il videoclip girato con Ale e Franz: un modo leggero per dare un messaggio forte, tosto, importante..
Loro sono stati preziosissimi: rendere surreale qualcosa che, altrimenti, sarebbe parso piuttosto serioso. Il concetto chiave, come avrai capito, è l’uomo che viene dato in pasto agli altri uomini: la presenza di Ale e Franz ha sdrammatizzato tutto questo.
Da ragazzino cosa canticchiavi? Una cosa che a volte ti torna in mente e ti rimetti a cantare quando sei solo
Beh, quella più trash forse “Non dirne più” dei New Dada, parlava di una ragazza bugiarda che tutti prendevano in giro, una canzoncina adolescenziale, la ascoltavo quando avevo 7-8 anni.
(foto by Pixie Promotion)
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