Lontani i tempi di “Un americano a Roma”. Pasquale Caprino da Paestum è sì un emigrato, ma tutto questo non è un film, anche se ha i contorni della commedia: un ragazzo come tanti che, stanco di un paese in sofferenza e schiavo di strani meccanismi professionali, decide di fare le valige e fuggire a Londra, meta classica per chi ama la musica e per chi la musica vuole fare. L’amore per le sette note lo porta a innamorarsi di una bella ragazza Kazaka, Dina: di lì la decisione (ancor più coraggiosa) di prendere un altro aereo e andare a scoprire (novello Colombo) un’altra terra dove vivere e continuare a fare il proprio mestiere. Son Pascal (nessuna parentela con Mattia), nome d’arte del ragazzo di Salerno, diventa una celebrità in Kazakistan: lì realizza la fortunatissima cover di “Englishman in New York” (il brano di Sting diventa “Englishman in Shymkent”, parodia intelligente dove, giusto per dirne una, il protagonista beve latte acido al posto del thè…). Una storia che mi piace raccontare, soprattutto oggi che Pasquale esordisce su Deejay TV con un docu-format di venti puntate (parte stasera alle 20) dal titolo “Pascalistan“. E lui ne ha di storie da raccontare…
Come stai, Pasquale?
Erano sette mesi che non tornavo a casa, me lo meritavo…il kinder cereali! (ride)
Questo soprannome da dove viene?
Risale a qualche annetto fa: feci un disco (distribuito dalla Universal), mi piaceva come suonava “Son”, era minimale. Io mi sento un po’ figlio di più civiltà, forse perché ho già viaggiato moltissimo. Pascal era, invece, il mio nome su Facebook, mi chiamavano così a Londra, dove ho vissuto a lungo prima di fare un altro salto…
Dietro l’angolo, in Kazakistan!
Quella terra mi si è presentata davanti sotto le spoglie (non mentite) di una ragazza che ho conosciuto nella City: da quelle parti ero George Harrison, suonavo in una cover band dei Beatles, esperienza bella e formativa, una vera palestra per me. Potevi trovarci ovunque, anche ai matrimoni e agli ospizi, pensa! Sono stato pure bassista dei “Black Soul Stranger”, un gruppo in stile Editors: stavamo lavorando al nuovo album, ma le mie attitudini da leader mi fecero cozzare col loro reale leader.
In Kazakistan hai fatto una roba simile a X-Factor, vero?
Una “sottospecie”, un’alternativa sul web, con fase finale televisiva. Lì le cose sono molto ridimensionate, se paragonate al resto d’Europa, Italia compresa: non vinci X-Factor, poi Sanremo e poi vai primo in classifico, è un altro mercato. In seguito è arrivata la famosa parodia di Sting (“Englishman in Shymkent”, città a sud del Kazakistan), inno a una città che piace a pochi, dove io invece di bere un thè bevo latte di cavallo acido e invece del toast mangio un tipico panzerotto fritto. Nel complesso è un racconto ironico, molto spontaneo…
Da quelle parti che atmosfera c’è?
I miei colleghi mi remano contro, mi trattano quasi come fossi l’invasore. Almaty, dove vivo, è la città più grande del paese: qui c’è un notevole sviluppo economico, dopo la caduta dell’Unione Sovietica è partita una vera corsa all’oro. La crisi c’è, ma si vede poco, ci sono 140 diverse etnie che vivono insieme, è un’isola felice.
…e la musica?
Non so se conosci la situazione che a Napoli vivono i “neo-melodici”, beh qui è più o meno la stessa cosa: regna “The Toy Business”, dove toy sta per patrimonio, festa privata. Lo show-business diventa toy, spettacolo di proporzioni “ridotte”, di nicchia, ma con un suo pubblico. Io sto cercando di sovvertire questo meccanismo, ma facilissimo non è…
Cos’è che ti ha colpito dei Kazaki?
Loro amano chi apprezza il loro paese ed io mi sono innamorato: pensa, lì ogni auto può essere un taxi, c’è una sorta di “car sharing” di nuova generazione! Se qualcuno va nella tua direzione ti fa salire, dietro piccolo compenso: dal centro di Milano a Malpensa posso spendere anche 90 Euro, per gli stessi km ad Almaty spenderei il 60% o 70% in meno!
Del movimento musicale italiano che mi dici…?
Una volta ero pieno di rabbia, ce l’avevo a morte con l’Italia, con il sistema. Un anno fa avrei sparato a zero su tutto e su tutti, ora credo che fosse semplicemente il mio destino. Io amo la musica italiana, da Cremonini a Battiato, da Max Gazzè a Niccolò Fabi, sino alla leggenda Lucio Battisti: da noi chi trionfa in un Talent Show poi viene sfruttato sino all’osso per uno o due anni. Finito quel tempo, ti abbandonano e devi essere bravo (ed equilibrato) a restare in sella, senza perdere la bussola…
Cos’è “Pascalistan”?
Guardalo questa sera, è un’idea che ho sviluppato insieme con Davide Tappero Merlo, giovane e valente autore tv: l’ho conosciuto sul palco di un locale indie, siamo subito diventati amici. E’ stato lui a propormi il tutto, al fianco di Lorenzo De Marinis (autore, tra l’altro, di “Camera Cafe”), un progetto privo di canovaccio, una scelta coraggiosa. Venti puntate da mezzora ciascuna, stasera la prima alle 20.
Qual è il brano che amavi da ragazzino e che ancora oggi canticchi nei momenti di relax?
Ho una serie di pezzi legati a ricordi d’infanzia, su tutte ti cito “2009, le cicale e le stelle”, un brano di Lucio dalla, era nell’album “Cambio”. Mi fa venire in mente i viaggi in macchina con mio padre: c’era dentro un notevole assolo di chitarra. Sai che ti dico? Peccato che all’estero non comprendano la nostra lingua, in Italia abbiamo composizioni stellari, da Battiato a Dalla. Altro che Genesis…!
(foto by facebook)
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