Cristiano De Andrè: “Quando Baudo bocciò me e mio padre Fabrizio”

Era il 1994, la prima volta che Fabrizio De Andrè bussava alla porta del Festival di Sanremo: Pippo Baudo pensò che la loro fosse una canzone politica, parlava invece di malati di Aids: “Qui nel girone invisibili per un capriccio del cielo viviamo come destini e tutti ne sentiamo il gelo“. In passato (1991) terzo classificato fu un brano sul dramma della tossicodipendenza (Marco Masini, “Perché lo fai”). L’anno dopo Baudo prese le redini del Festival (la cittadina ligure divenne gradualmente la sua seconda casa) e prese anche le distanze da questo tipo di tematiche: a trionfare furono i buoni sentimenti con Luca Barbarossa e il duo Aleandro Baldi-Francesca Alotta. Nel 1993 proprio Cristiano De Andrè si piazza al secondo posto (“Dietro la porta”), dodici mesi dopo l’amara esclusione per lui e il padre (“Cose che dimentico”)…

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Per Baudo il brano aveva contenuti politici, motivo per il quale non fosse adatta alla kermesse sanremese. A leggere il testo, ad ascoltare la melodia, rimane difficile trovare riferimenti a questo o quel partito: Cristiano ricorda con un pizzico di rassegnazione quei momenti e racconta a Corriere Tv la delusione del padre rispetto a questa esclusione: “E’ la prima volta che scrivo per Sanremo e già vengo tagliato fuori…“. La vicenda non è chiara, il presentatore siciliano, proprio nel 1994, diede spazio a un brano dalle tinte forti, legato agli attentati mafiosi di Falcone e Borsellino (“Michia signor tenente”), insomma dire che avesse preclusioni verso qualcosa o qualcuno ci pare difficile. Che sia stato in gioventù amante della poetica di De Andrè padre, tuttavia, lo escludiamo.