Qualche giorno fa è andato in onda su Rai Due uno speciale su Alex Britti: le famose “Emozioni” firmate Simona Ercolani. Personalmente, tanto per cominciare, ho sempre pensato che la versione originale di “Oggi sono io” fosse molto più “di pancia” rispetto alla tanto decantata cover di Mina. Come molti ho iniziato a conoscere Britti, quando le radio scoppiavano di “Solo una volta (o tutta la vita)”. Non pago di una cosa così “facile e orecchiabile” ho pensato di andare a scovare le sue prime incisioni, il suo vero primo disco, l’omonimo del 1992. Un lavoro che passò inosservato: m’innamoro facilmente del lato b delle cose, mi piace oggi riascoltare quell’album e scriverne un po’…
E’ il primo suono che ammalia, quel giro di chitarra che richiama a tratti la ben più nota “Soli” di Adriano Celentano. No, nessun plagio, perché “Jonni Der Kansassiti” è un’altra storia: “Roma è ‘na giungla infame, appena nato già te vò ammazzà“. Pensiero che oggi si estende a tutto il nostro paese, ahimè. Un chitarrista nomade conosciuto nel suo quartiere di periferia, uno che “ha fatto il matto pe nun fà il soldato“, al quale il destino non ha riservato una fine felice. Il primo brano dell’album quasi inganna l’ascoltatore, perché i virtuosismi allo strumento non mancano e si fanno subito apprezzare in quella straordinaria fotografia che è “Roma da lontano“, amore a sei corde che vale il prezzo del pezzo (ormai si ragiona così, iTunes rulez!)…
Per il resto è un disco infinitamente pop, con canzoni leggere, dalla struttura classica (strofa, ponte, ritornello), brevi liriche che ruotano attorno al tema dei sentimenti, del rapporto a due. In questo schema s’inseriscono alla perfezione brani come “Mia canzone“, “Tutto per star con te“. Quest’ultima è parecchio nostalgica e amara: “Volevo stare solo e divertirmi un po’, la sera sempre fuori a spasso, ma sono solo chiacchiere, perché sto ancora a piangere…“. Poi arriva il pezzo “alla Britti”, di quelli orecchiabili, popolare a 360°, arricchito dalla voce di Amii Stewart: “Così“…
Incalzante il funky di “Tuttauntratto“, coinvolgente fin da subito per la carica dell’attacco: in questo caso sono 12 le corde della chitarra di Alex, i cori riempiono il tutto, un mandolino fa da ciliegina su una torta che non dispiace. Una bella fetta, magari senza bis. Lei si accorge di essere spiata dal buco della serratura, un giorno si presenta e offre la sua disponibilità (“voglio che t’accorgi che sò meglio da qui…“). Finisce che il protagonista, intimidito, tuttauntratto vuole scappare…
Batteria, basso, chitarra acustica e percussioni. L’album si chiude con Alex Britti che suona tutto e canta. La sua “Preghiera romana” è un grido sussurrato, parte come fosse il duello d’un film western, va avanti come una ballad malinconica. Definirla una “Imagine di borgata” farebbe innervosire Yoko Ono, infatti non lo facciamo. “.. e quando il mondo sarà tutto unito, staremo tutti insieme pe’ cantà…“.
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