In musica il medley è spesso il giusto compromesso. Soprattutto, quando si assiste a un live e non si resiste all’ascolto di tutti (ma proprio tutti) i grandi successi dell’artista di turno. E’ un po’ come andare in profumeria, assaggi ogni cosa, prima di fare la scelta: quando esci dal negozio l’effetto è contrario, non profumi di nulla ma puzzi in maniera clamorosa. La stessa cosa accade quando ascolti decine e decine di canzoni racchiuse in poco più di 200 secondi. Della puzza nemmeno l’ombra, ma al termine di queste esibizioni si esce abbastanza frastornati…
I Pentatonix sono in 5, molto diversi tra loro, per stile, etnia, sesso (c’è anche una ragazza, si). Ricordano quei cantanti di colore che nei sobborghi americani coloravano i quartieri con la loro musica priva di strumenti: un juke-box in carne e ossa che si riuniva attorno a un fuco e faceva un po’ di baccano. Di ottima fattura…
Sembrano, quasi, un’evoluzione dei nostri Neri per caso (si, certo, paragone azzardato), sono quelli che sfruttano al massimo lo strumento vocale e se ne fregano di chitarre, bassi e batterie. La loro ultima uscita è una sorta di “bignami musicale a cappella”, ovvero 1000 anni di musica raccolti in quattro minuti. Dai canti gregoriani al barocco, fino al boogie, rock’n roll, “La bamba” e “Stand by me”, i Beatles (“I want to hold your hand”) e Kool & The Gang (“Celebration”). Si arriva sino ai giorni nostri con PSY e Gangnam style, Baby e Justin Bieber. Il quintetto di Arlington, Virginia, è ottimamente assortito e ben coordinato: il beat boxing fa da “sezione ritmica”, per il resto è solo voce e tanta, tanta creatività.
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