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La rivoluzione digitale salverà la musica

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Internet salverà la musica. Nel 1999 Napster veniva additato come il “mostro” che avrebbe rovinato l’industria musicale: i guadagni degli artisti si sarebbero azzerati e, di conseguenza, le case discografiche avrebbero chiuso; gli unici a salvarsi sarebbe forse stati i cantanti e i gruppi più popolari, tutelati dalle fortune già intascate. Oggi la situazione si ribalta: è dalla musica online che il mondo discografico può trarre nuova linfa vitale. Sono tutti d’accordo gli esponenti del panorama musicale riuniti a Milano per il workshop “La rivoluzione musicale nell’era digitale“, organizzato nell’ambito del World Communication Forum a Milano.

Sono i risultati raggiunti nel 2012 dall’industria musicale a lasciar bene sperare. A presentare i dati è Enzo Mazza, il presidente della FIMI (Federazione dell’industria musicale italiana). Il Digital Music Report 2013 mostra come, a livello mondiale, i ricavi nel 2012 siano aumentati in particolare grazie alla musica digitale, che registra un incremento dell’8%, preferita rispetto ai tradizionali supporti fisici (-5%).

In Italia il settore digitale è cresciuto del 31% rispetto al 2011, sviluppato soprattutto grazie ai download (+25%) e allo streaming (+77%). Ed è proprio lo streaming a rappresentare la seconda fonte di ricavo nel settore digitale, per un totale di 58 milioni di euro. Il merito è da attribuire alle nuove forme di business nate per contrastate la pirateria online, su cui spicca il modello Spotify, il servizio online che permette di ascoltare musica in streaming sbarcato in italia il 12 febbraio.

Come ci spiega Veronica Diquattro, responsabile del mercato italiano di Spotify, il successo di questa nuova piattaforma è notevole: “Abbiamo fatto più di 55 milioni di streams (brani ascoltati, ndr) in soli due mesi e 11 milioni di streams nella settimana del lancio“.

Un’importante novità del servizio, come dichiara la Diquattro, è la funzione “Follow”, che si basa sullo stesso principio del follow di Twitter. E’ possibile seguire artisti e playlist per creare nuove connessioni con i fan e anche tra gli utenti stessi.

A dire il vero il riferimento iniziale a Napster non è casuale: a contribuire in maniera determinante al decollo della startup svedese è stato l’arrivo nel 2010 di Sean Parker, co-fondatore di Napster. A quanto ha riportato il mensile Wired Us, è stato l’investimento di 15 milioni di dollari di Parker e la sua lungimiranza nell’aver stipulato un accordo con Facebook a decretare il successo di Spotify (su Facebook si possono condividere le proprie playlist). Il lancio sul mercato del servizio di musica on demand fu inoltre possibile grazie all’accordo che Parker propose alla etichette Warner e Universal nel 2011.

Per mettere a disposizione gli oltre 20 milioni di brani presenti nel catalogo online, Spotify ha versato alle etichette discografiche una cifra pari a 500 milioni di dollari dal 2008, data del lancio in Svezia, a oggi. La stessa somma, confermano da Spofity, verrà conferita ai titolari dei diritti d’autore per il 2013.

Nella battaglia per la salvaguardia del copyright portata avanti dalle case discografiche, Spotify è dunque un ottimo alleato. Ad ogni modo, l’era d’oro delle etichette sembra essere comunque finita. “Le major ora hanno davanti una sfida non da poco, quella di reinventarsi” afferma Lino Prencipe, Director Digital & Business Development di Sony Music Italia. E’ la funzione stessa della casa discografica a dover essere ripensata come “una struttura che accompagna l’artista a 360 gradi. Non ci possiamo più limitare a essere solo produttori di dischi. L’asset dell’industria musicale passa dal cd all’artista”. Con i social network infatti il musicista stesso “diventa un brand” e per questo la casa discografica deve essere in grado offrire una nuova gamma di servizi.

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