Temi scottanti per quegli anni: la religione, il sesso, il suicidio. Un disco dalle atmosfere desolanti, ma di grande spessore. Quel che si dice un album tosto, di quelli che ti danno un cazzotto allo stomaco. Qualcuno direbbe che dischi come questi andrebbero ascoltati solo in un momento di grande felicità, onde evitare attimi di depressione. Non è proprio così. Un bel giorno me ne andai nel mio negozio di dischi preferito e – quasi timidamente – acquistai “Oltre la collina“, album di Mia Martini, datato 1971. Il brano omonimo chiude così: “Un amore mio, un amore magari felice oppure, oppure infelice, ma sì, tanto è lo stesso. Mi basta solo che sia un amore“…
Nel 1978 Claudio Baglioni (autore di ben cinque pezzi) avrebbe scritto una canzone con molteplici punti di contatto: “Datele un amore felice o infelice, ma che sia amore…” (Giorni di neve, 1978). Il Disc-History di questa settimana risente, certamente, di atmosfere alla Edith Piaf, lo stile e l’eleganza di Mimì fanno il resto. Solita forza interpretativa, la stessa che in seguito le avrebbe permesso di cantare pezzi come “Almeno tu nell’universo”: lo sa bene chi oggi prova ad azzardarne una cover, praticamente impossibile. “Oltre la collina” segna la reale partenza del fenomeno Mia Martini. Dopo una serie di singoli incisi con il suo vero nome, Mimì Bertè, nel 1970 la cantante calabrese trova un nome d’arte più convincente e incide il suo primo album per la RCA Italiana. In questo caso molte cover (“Into the white” di Cat Stevens diventa “Nel rosa“…) e altrettanti brani scritti dalla premiata ditta Coggio-Baglioni. Quelli de “Questo piccolo grande amore”, “Amore bello” e “Sabato pomeriggio”, giusto per citare tre capolavori melodici.
“Se poi quando fa giorno te ne vai, e non ho la forza di finirla qui, ti servo solamente quando è notte…“. “Amore amore un corno” sembra quasi il prologo di quella Minuetto incisa dalla Martini nel 1973. Due brani opposti per melodia e struttura armonica, ma dalla tematica identica. Tra l’altro di questo brano fu anche modificata una parte del testo, proprio come per “Gesù è mio fratello” (divenuto poi “Gesù caro fratello“) dove viene affrontato con grande intensità il tema della fede, e “Padre davvero“, giudicata dissacrante, e quindi modificata. Mimi si rivolge al padre e esprime la sua disperazione per non aver ricevuto da lui quel amore che meritava: “Padre, davvero che cosa mi hai dato? Ma continuare è fiato sprecato che sono tua figlia, lo sanno tutti domani i giornali con la mia foto ti prenderanno in giro da matti..ah, non mi avessi mai generato…”
Cazzotti allo stomaco, canzoni toste, brani scomodi come “La vergine e il mare“, che parla di uno stupro. “Mi prese dai fianchi, piegò la mia schiena, fu su di me. Dalla nuda parete il quadro dei Santi e Dio, Dio mi maledì. Mi piacque giacere con lui“. La compiacenza della protagonista non incontrò il plauso della censura, ovviamente. Profetiche e devastanti appaiono “Lacrime di marzo” e “Testamento“: la prima (incisa da Baglioni sempre nel 1971) parla del suicidio della protagonista (…), mentre la seconda rende note le sue ultime volontà. Toccherebbe citare tutto il testo, colmo di dediche prive di miele. Ascoltate e basta, ne vale la pena.
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