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Claudio Baglioni: una lunga serenata d’avanguardia…

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Era da un po’ di tempo che Giovanni Minoli non dedicava una serata speciale a Claudio Baglioni. Negli ultimi giorni la vasta schiera dei fan del cantautore romano ha postato su Facebook un reperto molto curioso, con i due uno di fronte all’altro e Claudio di bianco vestito e a tratti timido ed emozionato. Si chiama compostezza, sobrietà. Ecco il più classico racconto a ritroso, con la memoria che viene stuzzicata, con passaggi televisivi quasi dimenticati: fa piacere rivedere Antonio Coggio, produttore e co-autore dei primi (e fortunatissimi) dischi del nostro. Un’accoppiata vincente, più semplice e meno tormentata di quella Mogol-battisti, ma ugualmente ricca di spunti melodici e testuali. Anni ’70 che vengono brillantemente ricordati da chi di Pop poco masticava, da Ernesto Assante allo stesso Walter Savelli. Oggi capelli bianchi, ma testa fresca e voglia di stupire, senza preoccuparsi delle prime esibizioni in bianco e nero: il celebre Agonia, occhialuto e poco affascinante…

Quando tu mi baci e una versione alla Burt Bacharach. La sua “Notte di Natale” è invece un’infelice partecipazione al Festival di Ariccia (sconosciuti proposti e promossi da Teddy Reno). Scoraggiato, Claudio tira fuori dalla manica il suo asso: quello che stupisce tutti, quando la partita sembra ormai perduta. Questo piccolo grande amore, quella che lui definisce una sorta di testamento, un’operina da donare ai posteri. Non va così, dopo saranno successi estremi, in Italia e all’estero (pensiamo alla famosa tournee polacca) e canzoni che ancora oggi fanno venire i brividi. E tu, Sabato pomeriggio, E tu come stai, Amore bello. In seguito quel disco che decide di far da solo, “Solo” appunto. Coggio non c’è più e l’anima di Baglioni muta sempre più: accanto a lui musicisti nuovi, testi meno immediati, armonie meglio curate e quel brutto anatroccolo divenuto improvvisamente bello. Alè-oò è il più grande tour mai tentato da un artista italiano: da lì in poi un vero modello di fare musica dal vivo per le folle oceaniche…

Gli anni ’80 sono come un bicchiere pieno sino all’orlo: tutti lo vogliono, tutti lo cercano, tutti lo amano. Come dice Assante “Un cantante di consumo, non d’autore, ma esempio per tutta la generazione a venire“. Con lui eccelsi musicisti, da Tony Levin a Danilo Rea, dal già citato Savelli a John Giblin. Gente che fino a qualche tempo prima sarebbe stato difficile accostare al suo nome. E invece… Invece arriva il disco più completo, più bello (come dice Guido Tognetti), “Strada Facendo”…

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La dedica a Giovanni (suo figlio) con Avrai e poi perle assolute come Mille giorni di te e di me, giusto per citarne una. Da Amnesty International (con Sting e Peter Gabriel, per noi resta uno spettacolo, poco conta quella piccola contestazione) all’incidente che rischia di compromettere una carriera, da “Oltre” (disco capolavoro, ricco di ermetismo e prestigiose collaborazioni), ad Anima Mia con Fabio Fazio, sino alla strabordante tournee negli stadi…

Una maggiore consapevolezza, un messaggio chiaro a tutti quelli che prima lo snobbavano. Come dire, “non solo solo il cantante dei buoni sentimenti, ma anche un uomo capace di riflettere e cantare il suo tempo”. Ragazze dell’est, Uomini persi, Noi no. Tanta roba. Concerti infiniti, performance vicine alla perfezione, generazioni che si intrecciano e battono le mani, senza soluzione di continuità (anagrafica). Mettersi in discussione, rimettersi in gioco, azzardare anche a costo di perderci la faccia. Concerti a sorpresa, integrazione e interazione, senza mai dimenticare chi fino ad oggi lo ha aiutato a fare il suo mestiere. Quelli come me, quelli come noi.

(foto by kikapress)

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