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“Set me free, Set me on fire”: Alessia d’Andrea suona per noi!

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Qualcuno diceva che per conoscere il sole e la luna, basta osservarli da molto lontano. Contemplarli e non farsi troppe domande. Così accade in qualsiasi storia d’amore, così quando due esseri inanimati prendono vita e si avvicinano, lentamente. E così è anche per la nuova musica di Alessia D’Andrea: da oggi è disponibile in tutti i Digital Music Stores il suo ultimo singolo, “Set me free, Set me on Fire“. Sta letteralmente facendo impazzire YouTube: da tutto il mondo piovono consensi, dal Cile agli Stati Uniti, sino ai paesi dell’Est. Alessia fa un piccolo grande regalo agli amici di Velvet: mette da parte “trucco e parrucco” e siede alla tastiera…

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Uno spettacolo di ballad…

Oggi non è un giorno qualunque. Oggi è il primo passo di un percorso nuovo. Il tutto sarà molto più chiaro tra poco più di un mese, quando Alessia D’Andrea presenterà la versione Dubstep del suo ultimo singolo. E’ straordinario come una canzone, una forma di arte povera, possa riuscire nel miracolo di esplodere e diventare tante cose. La ballad (versione dedicata alle radio) coinvolge e avvolge. Ma “Set me free, Set me on fire” si farà molto presto in 4: Ballad, appunto, Progressive e due Dubstep diversissime tra loro. Ci diverte fare qualcosa di più, si diverte Alessia a farlo per noi di Velvet: il quinto elemento (questa l’ho già sentita…) è una versione casalinga, suonata dal vivo: ogni commento sarebbe superfluo…

Come sei arrivata a “Set me free, Set me on fire”?

Ho sempre amato e seguito l’idea di mettermi in discussione: ho viaggiato per anni tra Pop, Rock, musica etnica, R&B, Dance… Ora ci sembrava il caso di coniugare e mixare insieme tutte queste cose, con un pizzico di maturità in più… Ho partecipato attivamente a tutta la fase di produzione, del resto io adoro lavorare in studio, mettere mano a tutte le fasi del progetto. Dentro di me convivono almeno due anime, come Jekyll & Hide: più sfumature della stessa personalità…

Mettiamo ordine: qui si parla di ben 4 versioni dello stesso pezzo…

Si, Ballad, Progressive e due Dubstep, molto diverse tra loro. Il Dubstep si è sviluppato prima in Inghilterra, poi negli States: dobbiamo a Skrillex ed ai Grammy una maggiore consapevolezza di questo tipo di musica. Tengo molto anche alla versione Progressive: è stata pensata guardando e ascoltanto l’universo delle discoteche.

Due mesi fa ti avevo definito “Rock”, mi sa che ci siamo sbagliati…

Non si tratta di errore. Nel senso, non mi piace parlare di generi, di etichette e di categorie. Io non sono propriamente Rock: mi piace la musica “bella” e non digerisco le vie di mezzo… Mi lascio andare e lascio che da me possano uscire tanto la parte dolce, quanto quella più aggressiva. Sono solare e lunare insieme, forse è un difetto, chissà.

Passiamo al videoclip: è una storia davvero curiosa, difficile da esaurire in poche righe!

E’ stata dura, ma entusiasmante. Ha avuto un peso anche la parte attoriale, la voglia di dare contorni ben definiti all’insieme della storia. La mia parte nera si ribella, la rossa si confonde con la vicenda che sta vivendo. Alla base c’è la voglia di liberare la propria personalità e la gabbia è metafora di tutto questo. Con la versione Dubstep capiremo qualcosa di più, rispetto alla struttura narrativa: gli incubi di una ragazza che giace su un letto di ospedale, tinte forti, nette. Ce l’abbiamo messa tutta, speriamo che anche questo messaggio arrivi a destinazione…

(Ph. Vasil Stefanov)

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