Francesco Renga: “Avevo bisogno di trovare un linguaggio nuovo” [ESCLUSIVA + VIDEO]

Velvet Music ha incontrato Francesco Renga in occasione della tappa romana del suo instore tour per la presentazione dell’album Scriverò il tuo nome. L’artista ci ha parlato del disco, della collaborazione con giovani autori e… (TROVATE IL VIDEO DELL’INTERVISTA DI SEGUITO).

Scriverò il tuo nome è l’undicesimo album in studio per Francesco Renga pubblicato il 15 aprile 2016 (per Sony Music). Dodici brani (più altri due nella versione deluxe) in cui ha collaborato il produttore Michele Canova e molti artisti che hanno affiancato Renga nella scrittura come Tony Maiello, Fortunato Zampaglione, Ermal Meta, Dario Faini, Diego Calvetti, il vincitore della sessantaseiesima edizione del Festival di Sanremo Francesco Gabbani, Luca Chiaravalli, Davide Simonetta e Nek. Un disco che parla d’amore in tutte le sue forme e in cui assistiamo ad una trasformazione di Francesco. Ce l’ha spiegato lui stesso…

Scriverò il tuo nome è un disco che parla d’amore a 360 gradi in maniera diretta e semplice. Di quasi ottanta canzoni che sono state provinate, solo quattordici sono finite nell’album. Com’è avvenuta questa scelta?
Io credo che un artista non sia mai in grado di fare una scelta del genere, o almeno parlo per me. Penso che non spetti nemmeno a lui. L’artista fa l’artista. Scrive perché deve farlo, ha un’urgenza, ha bisogno di raccontarsi. L’artista è quello che vive in una gabbia claustrofobica e l’arte è quasi sempre l’unico mezzo che ha per raccontarsi, per raccontare quello che vede, quello che sente in qualsiasi linguaggio, che sia musica o che sia dipingere, fare un film, scrivere un libro. Non deve avere lucidità sul suo lavoro, perché non è lucido il suo lavoro. È un grido che deve fare perché spera che qualcuno lo colga. Questo lavoro, quindi, va fatto da altri. Se la tua arte deve confrontarsi con un mercato, è giusto che ci sia un team che ti aiuti e di cui ti fidi, che rispetti la tua dignità artistica ma che allo stesso tempo renda possibile la connessione con il mondo esterno. Solitamente l’artista questa connessione non ce l’ha.

Rispetto a Tempo reale sei tornato a collaborare nella scrittura di tutte le tracce del disco e insieme ad alcuni giovani autori. Com’è stato scrivere con loro?
Per me è stato fondamentale. Dirompente a livello emotivo perché mi hanno dato tutti tantissimo. Ho scritto con un sacco di artisti, di giovani autori, di team compositivi. Avevo bisogno di trovare un linguaggio nuovo e attraverso la loro freschezza, secondo me, l’ho trovato. Da questo punto di vista Scriverò il tuo nome è un disco rivoluzionario per me. Ho dovuto cambiare completamente, in maniera abbastanza pesante, il mio modo di cantare. Questa scrittura fatta di tante parole, di strofe serrate, che muovono i passi dal rap, che credo dal punto di vista artistico a livello mondiale sia la cosa migliore che è venuta fuori in questi ultimi quindici anni. Il rap ha cominciato a funzionare a livello popolare quando ha iniziato a mischiare quel tipo di cadenze con una certa melodia. Le cose migliori, addirittura, sono quelle più melodiche. Quindi fare il lavoro opposto per un cantante che ha scritto canzoni secondo me è stata la cosa più interessante ed è la cosa più interessante di questo disco.

Appunto hai definito questo disco “rivoluzionario”, ma dagli esordi ad oggi com’è cambiato proprio il tuo approccio alla musica?
È cambiato con me. Ogni disco è la fotografia di un momento anche di vita. Crescendo, maturando, facendoti attraversare dalla vita, la tua sensibilità artistica muta radicalmente. Ho cominciato a fare questo lavoro quando avevo sedici anni. L’ho fatto prima con una band rock, poi ho fatto il solista. Il mio modus operandi era quello della band, per esempio. La prima cosa che ho fatto dopo la separazione dai Timoria è stato raccogliermi intorno dei musicisti per avere di nuovo quel mood nel quale potermi muovere. Quindi è completamente, cambiato anche se in un certo senso sono rimasto lì perché dal punto di vista pratico sono tornato ad un team, che è quello che volevo fare. Adesso ho un team che parte dal mio produttore, dalla mia casa discografica, dai miei assistenti. L’artista, mettendoci la faccia, si prende oneri e onori di quello che fa. Le scelte le prendo sempre io, quindi se le cose vanno bene vanno bene per tutti, se vanno male vanno male per me (ride, ndr).

Nei giorni scorsi alcuni tuoi colleghi sono stati protagonisti di polemiche con giornalisti riguardo alcune recensioni negative. Tu come reagisci alle critiche?
Io grazie al cielo recensioni negative non ne ho avute (ride, ndr)! Sto scherzando! Credo che ognuno debba fare il proprio mestiere, quindi se un giornalista lo fa in buona fede non si può censurare. Non si può censurare il giudizio di nessuno, quindi lungi da me farlo. Sarebbe bello accontentare tutti, ma non è possibile e bisogna metterlo in conto. Spesso le critiche che, come tutti, ho dovuto accettare, a posteriori le ho trovate molto centrate. Sono un tipo abbastanza riflessivo da questo punto di vista. Non mi arrabbio, ma mi faccio delle domande e, se riesco, mi do delle risposte.

Lo scorso anno eri giudice ad Amici di Maria De Filippi. Quest’anno sei riuscito a seguire il programma?
Purtroppo no perché ho avuto davvero un sacco di cose da fare. Ho visto veramente poco, quindi non vorrei dare giudizi affrettati.

Infine il 15 ottobre ci sarà questo concerto speciale a Milano in cui ci saranno molte sorprese…
Ma vuoi sapere proprio un sacco di cose, ma secondo te te lo dico? Non ti dirò niente (ride, ndr)! Ti anticipo solo che sarà una sorpresa gigantesca e lo sarà anche per me, pensa te!

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