Se un ragazzino degli anni ’90 accendeva la radio non poteva che imbattersi nel ‘paese dei balocchi’ di Radio Deejay: da Baldini e Fiorello alla Deejay Parade. Era l’epoca in cui spopolava una nuova dance, perfettamente ‘scomposta e ricomposta’ da gente come Albertino e Mario Fargetta. Quest’ultimo, oggi diventato Get Far Fargetta, ha fondato una sua etichetta, la Get Over Records (“per essere più libero, per avere sempre tutto sotto controllo“) e affronta nuove sfide con rinnovato entusiasmo. Sarà merito di Sofia e Mattia, splendidi figli che gli ha dato Federica Panicucci, sarà per quel suo fare scanzonato e, insieme, professionale…
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Il prossimo ottobre uscirà “Bad One”, il suo nuovo singolo. Fargetta sta anche lavorando a “Resurrection”, prodotto con il suo ‘socio’ LennyMendy e ad un nuovo progetto in collaborazione con Provenzano Dj e Jeffrey degli Eiffel 65. In futuro potrebbe tornare a lavorare con Clementino (“Mi piacerebbe molto, tra i rapper è quello che preferisco oggi“), difficilmente lo vedremo nella giuria di Sanremo, come capitato invece a Claudio Coccoluto. Tanto presente e tanto futuro, insomma, nelle parole di Mario: emozioni forti quando dice la sua su John Miles (ricordate ‘Music’, vero?) e, soprattutto, su Mike Francis, simbolo dell’Italo-Disco anni ’80…
Hai vinto un concorso per dj nel 1980: quella di oggi, invece, è l’epoca di un talent come “Top Dj”. Evoluzione o rivoluzione?
Tutte e due le cose. Il ruolo del Dj è cambiato moltissimo, non sono io il primo a dirlo: pensa che in Tv ai miei tempi (ma non sono così vecchio!) erano pochi i programmi che facevano capo a un Dj, Jocelyn conduceva discoring, ma era tutto tranne che un vero Disc Jockey. Di certo, ieri come oggi, la televisione permette il grande balzo, ma la base vera è quella costituita dai social e dalle nuove tecnologie, quelle che aiutano un giovane a diventare anche producer.
A tal proposito: come mai hai fondato la Get Over Records?
Ecco, questa non è neppure una vera rivoluzione. Mi spiego: altri Dj internazionali tendono a staccarsi dalle major, è un modo per avere sotto controllo le proprie produzioni, per sentirsi più liberi. La Get Over Records è un’attività in proprio e, come tale, ti consente di avere tutto sotto mano. Sai cosa? Avevo una voglia matta di mettermi in gioco, per i fatti miei…
E’ un po’ come la Newtopia di Fedez e J-Ax…?
Perché no! Intorno a me ruotano artisti giovani che vogliono emergere, alcuni anche di talento. Se ne vale la pena, se un ‘ragazzino’ rispecchia ciò che faccio io, potrei anche decidere di stampare la sua musica. Non sono mai stato uno chiuso e attento esclusivamente ai suoi affari.
Ora a cosa stai lavorando? Quali sono i tuoi ultimissimi lavori?
Intanto, sono molto contento di quel che ha fatto “Out Of Control”. Molto bene in Italia, ora c’è un’etichetta brasiliana interessata, vediamo cosa ne esce. “Bad One” è il pezzo nuovo, dovrebbe uscire a ottobre. Inoltre, al fianco del mio socio LennyMendi sto lavorando a “Resurrection”, abbiamo già ricevuto buoni feedback: presto novità anche con Provenzano Dj e Jeffrey degli Eiffel 65…
Andiamo un po’ indietro: Deejay Time e Deejay Parade. Hai nostalgia? Intendo da un punto di vista artistico, musicale…
Mi piace definire quella come una vera epopea, sono stati anni irripetibili. Una musica diversa, veri successi italiani che potevano essere lanciati all’estero. Noi eravamo una sorta di ‘movimento’, riuscivamo a spostare folle di ragazzi, neppure ce ne accorgevamo, eravamo inconsapevoli della nostra forza. Con Albertino riuscivamo ad essere tutti dei grandi trascinatori: il ritmo era sempre altissimo, giocavamo sulla velocità dei jingle, sullo sdrammatizzare la musica più dura. Facevano anche delle robe simpatiche, non proponevamo solo suoni…
Primi anni ’90 sono anche quelli del tuo primo disco e della cover-remix di “Music”: era e rimane una delle tue canzoni preferite?
Impazzisco per quel pezzo, credo che sia stato un capolavoro. E non esagero: sono da sempre convinto che con “Music” si possano fare tre o quattro tracce diverse tra loro. Io lavorai sul giro di pianoforte, niente più. Ma oggi, se mi mettessi a tavolino, potrei tranquillamente tirarne fuori altre due tracce. Chissà…
Nel 2012 sei stato a Sanremo con Gigi D’Alessio e Loredana Berté, torneresti a lavorare con loro? Come è stata l’esperienza del Festival?
Beh, pensa che la Bertè andrò a vederla in concerto nei prossimi giorni. Lei è fantastica, sarà un piacere incontrarla di nuovo. Con Gigi ho un bellissimo rapporto da tanti anni: è un amico, ricordo ancora quando andai a casa sua, a Napoli: mi fece pure il caffè con la moka. Cordiale, anche dal punto di vista professionale: quando mi chiama, io ci sono sempre. Per quel che riguarda Sanremo, magari ci tornerò, ma mai a sedermi in giuria.
Esiste oggi qualche artista pop o hip hop col quale ti piacerebbe collaborare?
Nel recente passato ho già fatto alcune cose con Clementino. Ricordo che stavamo per realizzare qualcosa su “O vient'”, alla fine uscì solo il remix sul sito di Radio Deejay e in free-download. Ne parlai molto anche con Albertino, poi facemmo il remix di Clementonik: in quel periodo Cle stava collaborando anche con Lorenzo (Jovanotti, ndr.), insomma forse avremmo potuto fare molto di più insieme. Anche per questo non mi dispiacerebbe affatto poter tornare in sala con lui.Tra l’altro, ci siamo sentiti pochi giorni fa, è un ragazzo molto simpatico.
Avicii, Tiesto, Guetta: che idea ti sei fatto su queste superstar? Luca Dorigo mi ha detto che sarebbe curioso di vederli all’opera di fronte a 500-1000 persone. Tu che dici?
I grandi sono grandi ovunque, sempre. Uno come Guetta sarebbe capace di far saltare anche 2-300 persone, così come gli capita spesso di fronte a 20 o 30 mila. Tocca, tuttavia, fare un distinguo: se un top dj capita -per caso – in un club, davanti a 500 persone, forse potrebbe avere qualche piccola difficoltà. E’ una questione tecnica, non emotiva. Recentemente sono stato in Sardegna, da un amico: dovevo suonare quella sera, ma l’impianto era diverso rispetto a quello che avevo chiesto. Le mie chiavette usb non leggevano le tracce! (ride). Alla fine ce l’abbiamo fatta, ma sudando e perdendo un po’ di tempo…
Hai un decennio preferito? ’70, ’80 o ’90?
Per tutto l’universo della dance gli anni ’70 sono stati molto importanti, del resto la disco-music è partita lì. Penso a “La febbre del sabato sera” a James Brown, a Patrick Hernandez. Ma non ho mai disprezzato il decennio seguente: negli anni ’80 ho iniziato a suonare nei locali, ricordo che stavo spesso al “New Feeling” di Monza, era sotto un cinema. Mi pagavano 30.000 lire e me le davano tutte a 1.000 lire. Mamma mia…
Chiudiamo. Qual è la tua ‘Canzone nell’armadio’? Un pezzo del passato che ricordi con affetto, perché legato a qualcosa in particolare.
Resto volentieri sugli anni ’80. Ero un estimatore della Italo-Disco, quella di Gazebo, di Raf, ad esempio: ero innamorato di Mike Francis, in particolare “Survivor” era un brano che mi era subito entrato dentro, tant’è che avrei voluto farci un remix, poi purtroppo Mike se ne andò. Fu un vero peccato, era un artista vero.
(PH: Bruno Garreffa)