Federico Zampaglione: “Califano? Con la Sony stiamo lavorando a una sorpresa” [INTERVISTA]

Come entrare in un salotto di epoca moderna e vedere sui mobili una lunga schiera di fotografie. Racconti di oggi e di ieri, idealmente accompagnati da una colonna sonora: è anche questo “Indagine su un sentimento”, il nuovo album dei Tiromancino, limpida e lucida istantanea su un momento d’amore universale, ottimamente interpretato dalla voce di Federico Zampaglione. Se il primo singolo “Liberi” aveva cantato la spregiudicatezza e la sincerità di una relazione senza catene, “Immagini che lasciano il segno” rappresenta uno di quei ponti che conducono da un punto all’altro della collina: una tenera dedica che Federico fa a sua figlia, attraverso una chiave elettronica e affidandosi a un testo ficcante, come una freccia che si insinua nel cuore: “..sei riuscita a cambiarmi, ritrovandomi un uomo migliore…“.

Una lunga chiacchierata dove il leader dei Tiromancino va oltre, dicendo la sua su nuove leve come Rocco Hunt e Michele Bravi, dove sviluppa i temi cari alla sua nuova creatura. Un album ‘nuovo’, sì, pensato e suonato con maestria, buon gusto ed eleganza, col pensiero a buoni e cattivi maestri. Mi piace, a riguardo, come in “Re Lear” tratteggi la figura del dramma shakesperiano, esempio da non imitare. E mi piace molto la dedica nascosta a Franco Califano (“Nessuna razionalità”, ndr.), primo passo di un progetto in costruzione (targato Sony) dedicato a quell’immenso artista che era (e che resta) il Califfo…

Federico: ho ascoltato un album meticcio, con tante anime: l’amore universale messo in musica.

Beh, spero possa arrivare al pubblico. Abbiamo iniziato questa avventura con lo stesso spirito di 25 anni fa, quando non c’era un contratto discografico, quando non avevamo neppure in mente cosa significasse ‘vendere’ un disco. Un album attraversato da difficoltà più grandi di me, come la perdita di mia madre, figura molto carismatica. Mio fratello ed io siamo riusciti a superare questo brutto momento grazie alla musica: mi sono raccontato senza limiti, esponendomi completamente…

Possiamo, quindi, definirlo “un disco di pancia”?

Assolutamente. Ho vuotato un po’ il sacco, anche perché io come tutti combatto ogni giorno contro un sistema che mette spalle al muro, è stato istintivo riprendere in mano i miei sentimenti, quelli di oggi e quelli di ieri.

Pop, rock, funky, elettronica: impossibile dare un’etichetta precisa al lavoro che avete realizzato

Sì, questo dipende dai gusti, dalle abitudini musicali che ci hanno storicamente riguardato. Personalmente non mi sono mai soffermato su un genere in particolare, ho sempre amato spaziare: dalla musica classica al rock industriale, sino al jazz e al blues. Ultimamente, ad esempio, sto ascoltando il blues della prima ora, ma questo non esclude fughe nell’universo dei Sigur Ros, oppure in quello del Teatro degli Orrori. Dopotutto, la musica non ha confini, è un’emozione costante.

“Immagini che lasciano il segno”: dentro l’ultimo singolo guardi all’elettronica e fai una dedica a tua figlia. Ci sarà sempre più elettronica nel pop del prossimo futuro?

Penso proprio di sì, del resto – tocca ammetterlo – le nuove generazioni sono pazzesche, vedo bimbi smanettare di continuo con tablet e smartphone, scaricare app e giochi come stessero acquistando un pacchetto di gomme all’alimentari sotto casa. Le nuove tecnologie sono importanti, ma mi auguro che l’elettronica, nella musica, non diventi totalizzante: gli strumenti mantengono il calore, sono fondamentali nel concetto di forma-canzone…

Com’è nato questo pezzo?

Inizialmente non esisteva un testo ed io, lo confesso, non sono mai stato bravo a scrivere su melodie esistenti. In questo caso dovevo fare il paroliere, compito molto arduo: pensando a mia figlia, guardandola, l’ispirazione è venuta di getto, le parole sono uscite fuori così, d’incanto. Nel brano canto “sei riuscita a cambiarmi, ritrovandomi un uomo migliore…”, perché in passato sono stato una testa bacata, a volte intrattabile. Ho fatto tanti errori, ora penso di essere una persona più consapevole, più aperta verso gli altri. Benedico Dio e mia figlia se è andata così.

Andiamo avanti, nell’album hai cantato anche Shakespeare: come mai proprio il Re Lear?

Di certo Shakespeare è stato uno dei più grandi nel modo di rappresentare il tormento dell’animo umano. Il testo di questa canzone, ci tengo a sottolinearlo, è stato scritto con mio padre Domenico, che è un altro Tiromancino: “Re Lear” dimostra come tutto il disco non parli di un amore in particolare, ma di un periodo. Il personaggio di Re Lear è un monito: chi ascolta viene messo in guardia, per la serie “non fate lo stesso errore del Re, guardate cosa gli è accaduto, dove è arrivato il suo pentimento…“.

Facciamo un salto indietro di qualche mese: non credi che il Festival di Sanremo avrebbe potuto rappresentare un buon trampolino di lancio per questo disco?

Guarda, io sono istintivo e subito mi resi conto che “Indagini su un sentimento” non fosse il progetto giusto da presentare a quella platea. Penso che anche una canzone come “Liberi” non sarebbe stata apprezzata a dovere. Abbiamo preferito andare oltre, tenendo vivo l’entusiasmo e lavorando in prospettiva, mirando anche ad una tournée molto impegnativa.

Sei presente nel disco di Rocco Hunt: credi che il fenomeno dei rapper possa continuare a fare tendenza?

Sai bene quanto l’hip hop sia da sempre un modo diretto per esprimere stati d’animo: i ragazzini di oggi parlano poco con i genitori, c’è mancanza di comunicazione, il dialogo è diventato un optional. E’ il rovescio della medaglia delle nuove tecnologie. Per il resto, penso che fino quando il rap sarà lo slancio reale per quelli che amano raccontare la realtà, la loro realtà, allora sarà ancora un genere dominante. E’ il linguaggio dei giovani, è fresco e immediato e tocca temi a sfondo sociale, non può morire così facilmente.

Da Rocco Hunt a Michele Bravi: hai scritto anche per un figlio di X-Factor, come ti sei trovato?

Se mi conosci, e so che è così, sai bene che non ho preclusioni verso nessuno. Del resto, un cantante romantico che si mette a fare film horror non può avere pregiudizi, sarebbe il colmo! Michele è un artista delicato, con un’aurea un po’ retrò, potrebbe essere perfetto per un film anni ’40, una di quelle pellicole sulla guerra. E’ musicalmente valido, molto umile e preparato: non ho mai criticato i talent show e non comincio adesso.

Franco Califano ti ha ispirato nel brano “Nessuna razionalità”. Detto fra noi, non credi che in un Festival di Sanremo così votato alla bellezza e alla storia dei grandi autori, non ricordarlo a dovere sia stata una caduta di stile?

Concordo su tutta la linea. Gravissima la sua assenza: negli ultimi anni, è vero, era stato un personaggio sopra le righe, faceva notizia più per tutto il resto che per la sua musica, ma non dobbiamo dimenticare quanto sia stato immenso e illuminato nel suo modo di fare arte, era uno autentico, oltre che autore sopraffino. Fossi andato a Sanremo, avrei preparato un bell’omaggio per la serata del venerdì, peccato. Ma ti annuncio che con la Sony stiamo lavorando ad un progetto direttamente legato a lui, se lo merita.

Chiudo. Qual è la tua ‘canzone nell’armadio’, quella legata a un ricordo particolare?

Il primo nome che mi viene in mente è Jimi Hendrix. Un brano che ho ascoltato di continuo è stato “Little Wing”, ricordo anche le versioni di Eric Clapton o Stevie Ray Vaughan, solo per citarne due. Una canzone significativa, perché esprimeva il lato più romantico di un artista selvaggio come Hendrix. Sì, è un pezzo che mi mette addosso tanti bei ricordi…

(foto LaPresse)

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