Ha scritto canzoni ironiche, ficcanti, taglienti. Per lui potremmo coniare la definizione di cantautore satirico, visto il grande successo dello storico album “Nomi e cognomi“. Francesco Baccini non è solo questo, è uno che ha saputo e sa ancora trattare i sentimenti, con un distacco solo apparente: da “Le donne di Modena”a “Maschi contro femmine”, è riuscito a dipingere il proprio pentagramma, senza mai scadere nel banale. Decido di incontrarlo adesso, a cavallo tra le soddisfazioni americane e la vigilia di un viaggio lungo la muraglia cinese: mi confida di essere alle prese con il secondo capitolo del disco (citato in testa) che nel 1992 gli regalò grande successo grazie a brani scomodi come “Giulio Andreotti” e “Radio Maria” (“..ma questa volta i miei colleghi possono stare tranquilli, non parlerò di loro“) e si prepara a duettare con Cui Jian, il Bob Dylan d’Oriente. Prima di lui era toccato a Mick Jagger…
Partiamo da questo gioco di parole che hai postato sui social: “La media dei ‘media’ è da medie“
Un po’ critica e un po’ autocritica: ormai Internet ci fa diventare filosofi da 140 caratteri, non abbiamo più tempo per pensare e approfondire, si rimane sempre in superficie. E questo è grave, soprattutto in prospettiva. Tu pensa se domani ci fosse un black out: saremmo tutti rovinati…
Talent Show: non credo ti vadano a genio, quali segui e cosa non ti piace?
Guarda, sono più tollerante di quel che sembra: credo che ci debba essere spazio per tutto, il problema vero è che quel tutto, nei fatti, non c’è. In giro c’è tanta gente che non si conosce, perché in Italia è tutto ancora governato dalla tv, il digitale non ha cambiato nulla. Conta l’immagine, l’abito oggi fa il monaco, eccome…
Bene. E quand’è che qualcuno può essere definito grande artista?
Sono pochi, sono sempre meno: i grandi artisti sono quelli che sanno e fanno guardare lontano: penso ad uno come Luigi Tenco. Una volta “stava sotto” gente come Nilla Pizzi e Claudio Villa. Senza offesa, eh… Anche all’epoca c’era di tutto ma non c’era spazio per quel tutto. Non è cambiato quasi niente.
Una delle più grosse compagnia di danza a livello mondiale (Broadway Fusion Contemporary Dance, ndr) ha scelto alcune tue canzoni e se l’è portate in tournée!
Una grossa soddisfazione quella di dare maggiore respiro a tre miei brani: mi hanno fatto conoscere anche nella veste di pianista e, quindi, di compositore. La cosa più bella è che ancora oggi tante compagnie mi chiamano per poter utilizzare “Lunatika”, una di quelle tre canzoni. Non immaginavo potesse andare così bene.
Hai vinto la Targa Tenco nel 1989 e nel 2012: adesso quel Premio va ad un orientale, tale Cui Jian: spieghiamo bene questa storia…
Cui Jian è un grande artista: ha portato il rock in Cina, oggi può essere considerato è il Bob Dylan cinese: ha scritto un pezzo che nella versione inglese s’intitola “Nothing in my name“: è diventato l’inno di Piazza Tienanmen. Un suo concerto riuscì a radunare circa un milione di persone, una sorta di Woodstock cinese. Credimi, non è come fare il concertone del 1° maggio: lui andò contro il governo cinese e ne subì le conseguenze…
Mi hai detto che arrivò a duettare con i Rolling Stones
Una cosa incredibile, sì: era il 2006, il primo concerto in Cina di una rock band. Lo stadio era pieno! Durante “Wild horses” fu invitato da Mick Jagger a salire sul palco: una bolgia, delirio del pubblico. A un certo punto Mick gli da il microfono e lo lascia solo a cantare: da quelle parti è un vero beniamino…
Nel primo volume di “Nomi e cognomi” hai raccontato e cantato Venditti, Maradona, Andreotti, Radio Maria: adesso chi colpirai?
Non posso dirti molto: credo uscirà nel 2014, ma ti anticipo che non parlerò di cantanti, i miei colleghi stavolta possono stare tranquilli. Sto scrivendo tanta roba, ce n’è di cose da dire…
Domanda scomoda e un po’ stupida: oggi rifaresti “Music Farm”?
Non mi pento mai di nulla, a posteriori forse non ne valeva la pena: ho guadagnato dei soldi, certo, ma credevo potesse essere un’esperienza più interessante, stimolante.
Luca Carboni ha duettato con Fabri Fibra: non è il primo cantautore a incontrare il rap, tu lo faresti?
Come sai, in un mio vecchio album ho “incontrato” gente come Jannacci, Branduardi, i Sottotono, Fabrizio De Andrè. Adoro le commistioni, fanno crescere. Penso che il rap possa essere ottimo complemento per chi fa un genere opposto, come la musica detta “leggera”.
Tempo fa hai ribadito: “la musica in tv non funziona”. Torniamo ai Talent, quelli vanno…
Certo, quelli funzionano, perché c’è la gara, il meccanismo dell’eliminazione. Da una parte il perdente e la disperazione, dall’altra la gioia del vincitore e tutti che fanno festa attorno a lui. La tv ha ridotto tutto a una gara di tennis, ed è per questo che aspiranti cantautori non si presentano ad Amici… Una volta artisti come De Andrè e Battiato si sarebbero quasi “vergognati” di fare il provino.
La tua “Le donne di Modena” raccontava alla perfezione il sesso femminile: oggi quel testo dovrebbe essere rivoluzionato?
Beh, le donne sono cambiate e tanto, è innegabile. Credo siano un po’ più aggressive: è vero che siano anche cresciute, maturate in alcuni loro atteggiamenti, ma è anche vero che cambiare non significa diventare come un uomo. In alcuni casi hanno perso un po’ di femminilità, trovo questo sia un vero peccato.
“Io Canto” l’altra sera su Canale 5: un ragazzino di 14 anni ha cantato “Vedrai vedrai” di Tenco. Secondo te hai capito il significato?
Non esiste un limite di età per cantare o ascoltare una canzone. Pensa che io ho cominciato a sentire De Andrè a soli 12 anni. Il senso di una canzone è tutto: se fai la cantilena, cercando di non sbagliare quel verso o quell’intonazione hai sbagliato tutto, ma ai ragazzini non possiamo chiedere tutto… A loro certamente no.
Adesso cosa farai?
Dal 20 al 30 ottobre farò cinque concerti in Cina, mentre il 4 dello stesso mese sarò con Cui Jian al Premio Tenco: duetteremo sul brano che ho citato prima, io canterò in italiano e lui nella sua lingua.
Siete proprio amici, eh…
Ci siamo incontrati a Milano, abbiamo parlato, ci siamo scambiati dei dischi. Probabilmente la canzone che porteremo al Tenco rientrerà in “Nomi e cognomi Vol 2” e il titolo sarà “Anonimo Cinese”. La mia dedica personale all’anonimo studente di Piazza Tienanmen.
Chiudo: qual è quella canzone che amavi da bambino e che oggi torni a fischiettare nei momenti di relax?
Ero innamorato di Sylvie Vartan: avevo 7 anni e andavo in fibrillazione quando c’era lei in Tv. “Come un ragazzo” il suo brano più bello. Tanti anni dopo – lei era già una signora – la incontrai in una trasmissione: ti giuro, avevo uno sguardo da maniaco, lo ammetto! (ride). Odiai Johnny Hallyday per via dell’incidente che la sfigurò: era diventato un rivale, arrivai addirittura a spaccare un suo disco…
(foto by kikapress.com)