Alex Britti: “Quando spiavo i concerti dei Pink Floyd” [INTERVISTA]

Sensibile e genuino. Ogni volta che ti capita di incontrare Alex Britti lo ritrovi sempre così, soprattutto adesso che ha deciso di “correre da solo”, con un’etichetta indipendente, libero dai condizionamenti delle major. “Bene così” è un disco di ottima fattura, ben curato e volutamente privo della traccia-tormentone, del pezzo cialtronesco che strizza l’occhio alla massa (“ho 45 anni e di stare in una vasca con le paperelle non ho più voglia…“). A due giorni dal gran concerto di Roma (Centrale Live, ndr), il chitarrista sceglie la via del passato per raccontarmi il suo presente: dall’amore per cantautori meno celebrati come Stefano Rosso e Ivan Graziani alle perplessità sulle band storiche (“gruppi come i Deep Purple potrebbero anche ritirarsi“), dagli incontri con Ray Charles ed Amii Stewart (“nel ’92 scrissi un brano per lei, molti non lo sanno“) a quando si arrampicava sui muri dello stadio per spiare i concerti dei Pink Floyd

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Sappiamo che il disco è molto bello, sappiamo che manca il pezzo cialtronesco, sullo stile de “La vasca” o “Mi piaci”: non ascolteremo più cose di questo tipo?

La gioventù passa una volta sola nella vita: a 45 anni nella vasca con le paperelle non mi ci vedo. L’ho fatto una volta e mi è bastata. Ma non rinnego nulla, per carità.

Da “Baciami” a “Bene così”: quest’ultima contiene una citazione nascosta di “Coming back to life” dei Pink Floyd?

Evidentemente hai un ottimo orecchio, ma se di citazione si tratta, non è assolutamente voluta. Amo da morire la storia precedente dei Pink Floyd, quella che arriva sino a “Final Cut”, il loro ultimo capolavoro. Pensa che i puristi arricciano il naso anche quando si parla di “The Wall”, ti ho detto tutto…

Mai visti dal vivo?

Ogni sabato sera ci si riuniva a casa con gli amici: una settimana vedevamo “The Wall” e l’altra i “Blues Brothers”. Mi vengono in mente tanti ricordi, come quando mi arrampicai sulle mura dello Stadio Flaminio pur di vederli: ebbi una bruttissima impressione, così come in televisione quando mandarono il concerto di Venezia. Sembravano una cover band, salvati dalla presenza di David Gilmour.

Mi stai dicendo che alcune band, a un certo punto, dovrebbero avere il pudore di ritirarsi?

Assolutamente sì, come nel caso dei Deep Purple: quelli che vediamo e ascoltiamo adesso sono una bella copia, ma non l’originale. Non c’è più la chitarra di Ritchie Blackmore: Steve Morse è un grandissimo, ma il suono dei Deep era un’altra storia, credimi…

Hai avuto l’opportunità di essere “cooptato” da Ray Charles, oggi faresti lo stesso per un giovane?

Sto già dando la possibilità a qualcuno, è da sempre una mia prerogativa. Proprio in questo momento seguo una serie di giovani, prossimamente usciranno alcune cose con la mia supervisione. Artisti di livello, davvero interessanti, ma non posso dirti di più.

Qualche mese fa ho recensito un vecchio album, “Alex Britti“. Lo ricordi…?

Quello non era neppure un vero album: un’accozzaglia di canzoni di quando ero alle prime armi. Ti dirò, fu una furbata farlo uscire dopo it.pop. Io avrei agito diversamente. Anche il duetto con Amii Stewart fu quasi una forzatura. Ricordo che all’epoca uscì un suo album, “Magic”, con un brano scritto da me: “A better day“, credo fosse il 1992. Lo stesso anno del disco di cui parli tu: ma più che un disco, era un embrione, io mi stavo formando, registravo delle cose…

A proposito di Amii Stewart: c’è oggi una donna del panorama internazionale con cui ameresti collaborare?

Difficile fare un solo nome, su tutte metterei Christina Aguilera: ha una voce molto particolare, è una che stimo, la ascolto volentieri. Adele è un’altra che mi piace tanto, ma la questione duetti è molto più profonda. Le empatie si creano con la conoscenza, non è solo un problema artistico, ma anche umano.

Qualche anticipazione sullo spettacolo di Roma?

Sul palco una band di sei elementi (basso, chitarra, batteria, percussioni e due tastiere), in scaletta ci sarà qualcosa dell’ultimo disco, ma sarà tutto molto variabile: non mi piace suonare sempre le stesse cose e allo stesso modo. Del resto, una serata di due ore deve per forza funzionare in questo modo. Nessun effetto speciale, non vedrai leoni, tigri, uomini volanti e passerelle. Un concerto fatto di musica. Tutto qua.

Alcuni brani dell’album sarebbero perfetti per una colonna sonora (“Perché mi vuoi”, “Fino al giorno che respiro”, “Senza chiederci di più”). Dopo l’esperienza di “Immaturi” altri spunti per un film?

Perché no! Non l’ho fatto apposta a scrivere pezzi del genere, ma hai ragione, probabilmente “Perché mi vuoi” richiama un’atmosfera cinematografica.

Per il futuro hai parlato di un disco strumentale, solo chitarra: pezzi nuovi o grandi successi risistemati?

Boh! (ride) Di certo un disco di sola chitarra sarà un lavoro pieno di libertà. Ormai sono un’etichetta indipendente, posso fare quello che voglio e quando voglio. Una libertà comunque limitata, ma mai limitante. Preferirei questo a un album di cover, senza dubbio…

Nonostante quella bella idea legata a Jimi Hendrix

Sai, quella è stata una bella occasione, ma isolata, unica. Tanto per cominciare io non canto in inglese, per cui un lavoro sulle cover dovrebbe basarsi sul repertorio italiano: onestamente adoro se qualcuno mi concede l’onore – come accaduto con Mina – di interpretare uno dei miei pezzi, ma io non impazzisco per robe di questo tipo. A meno che non abbiano un forte significato, come “Gli occhi dei bambini” di Stefano Rosso che ho deciso di includere nel disco.

Hai detto: “I cantautori sono stati praticamente “dylaniati” da quando è apparso Bob Dylan: tre, quattro accordi e la canzone era fatta“. Dico, anche Battisti ha iniziato con pochi accordi, poi…

Mi piace Battisti, ma non ho mai avuto un suo disco. Ho sempre amato i grandi cantautori, lui era un’altra cosa: col passare del tempo è diventato più complesso, ha cambiato stile. Dopotutto, un artista cresce attraverso una sana curiosità e molteplici stimoli, non si matura solo mettendo in testa i capelli bianchi, è un po’ quello che è successo a me nell’ultimo periodo.

La tua canzone chiusa nell’armadio? Quella che ascoltavi da ragazzino e oggi, talvolta, ti viene voglia di canticchiare nei momenti di relax…

Una di quelle che suono ultimamente è “Pigro” di Ivan Graziani: ha un attacco notevole, mi mette allegria, ma difficilmente la proverei sul palcoscenico, troppe parole una accanto all’altra, avrei difficoltà a ricordarle. Correrei il rischio di fare una figuraccia.

(foto by OTRLive)