Amo la musica di Gaber, Battisti, Joan Baez, Springsteen, Florence and The Machine, Baglioni, Elvis. Giusto per fare qualche nome. Ma, lo ammetto, sono cresciuto con le canzoni degli 883: Max Pezzali. Avevo 11 anni qualcuno mi regalò la musicassetta di “Hanno ucciso l’uomo ragno”, ne ho 32 oggi quando la Warner mi consegna il disco di “MAX 20”. Lui, Max, quello che Fiorello aveva definito il Battisti degli anni ’90, per la sua capacità di raccontare attraverso le canzoni la società di quel tempo. Questa volta Max ha fatto centro: gli arrangiamenti dei 5 inediti sono gradevoli e tutt’altro che banali, i testi non sono buttati lì per caso e proiettano l’artista ai suoi anni d’oro (“Il Presidente di tutto il mondo”, scritta con il redivivo Mauro Repetto, va in questa direzione).
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Un disco molto americano, un costante crescendo, grazie ai 14 duetti (“ne avevo in mente altri due, ma non c’era spazio“), ognuno con una storia diversa, con un differente “perché”. Da Davide Van De Sfroos che chiude il brano con una mezza presa in giro, a Fiorello che inaugura il rituale del saluto conclusivo, passando per Baglioni, Venditti, Raf, Ramazzotti (“compagni di viaggio della mia adolescenza di ascoltatore“) e, last but not least, il grande amico Lorenzo Jovanotti: “Tieni il tempo” cambia forma, viene arricchita nel testo (dentro anche una citazione di Fossati), un regalo che Pezzali mostra di avere apprezzato più di un po’…
Chi te l’ha fatto fare, Max?
L’idea nasce dalla considerazione del ventennale: volevo celebrare al meglio questi 20, anche perché non so se arriverò ai 25, visto il momento della musica in Italia! Dopo averlo fatto con i rapper, volevo raccontare questa storia non in maniera autoreferenziale, ma attraverso il rapporto tra me e il resto della musica italiana. Autori e artisti che hanno contribuito alla mia formazione: Baglioni, Venditti, Bennato, Ramazzotti, Elio. E gli altri, gli amici, quelli con i quali ho condiviso il palco negli ultimi anni, da Sangiorgi a Cremonini, i rappresentanti della nuova canzone italiana.
Qualcuno è rimasto fuori da questi duetti?
In realtà sembra assurdo, ma io avevo già contattato due altri colleghi, purtroppo mi è stato detto che eravamo arrivati al limite di capienza del cd, una roba anni 90! Il limite era di 78 minuti, c’era il rischio di strafare: sarebbe venuto fuori un doppio cd, con al seguito differenze di prezzo e non solo: “MAX 20” il titolo, io volevo fare 20 canzoni e invece siamo rimasti fuori di una…
Parliamo di singoli: Van De Sfroos
Ho avuto il motorino Peugeot 105, meraviglioso, ma da vecchi se paragonato al Fifty, quello per i fighi: costava 2.800.000, aveva anche le marce. In sostanza, il mio cuore rimane sempre sulla caducità del Peugeot che in salita arranca: parteggio sempre per quelli che arrivano secondi, terzi o ultimi. Non ho il piglio del vincente, forse è una caratteristica negativa in questo mondo, ma è il mio modo di intendere la vita.
Elio, Baglioni, Lorenzo…
Con Baglioni la storia nasce a “L’ultimo valzer” circa 10 anni fa, lì partì l’idea di “Come mai” in questa versione. Elio ha contribuito molto al mio linguaggio, alla mia crescita personale. Lorenzo è stato fantastico, se dovessi far uscire un singolo, tra i duetti, sceglierei proprio “Tieni il tempo”. Lui ci ha aggiunto del suo, ha inserito delle strofe: mi ha fatto un regalo straordinario, un amico vero, fino in fondo.
Una furbata quella del saluto finale, siamo costretti ad ascoltare tutto il pezzo sino alla fine…
Merito o colpa va a Fiorello! (ride) Lui registrava a Roma, io a Milano: alla fine dell’incisione voleva salutarmi e così… Alla fine di ogni registrazione ognuno ha lasciato un saluto: questo, da una parte, segna il carattere amichevole della collaborazione (nessun calcolo discografico), dall’altra è un modo per ironizzare: togliamo le canzoni dal piedistallo dell’intoccabilità, le canzoni vanno vissute, ci si può anche parlare sopra…
Dici: “200 miliardi di Mi piace…”, rapporto con le nuove tecnologie?
Oggi siamo convinti che la vita sia un problema di quantità e non di qualità. Internet ha cambiato il modo di essere, sapere 100 cose di due parole è diventato più importante che saperne una di 500 parole. L’approfondimento ha perso ogni valenza: meglio 1 mld di followers che ti seguono distrattamente, anziché 100 che vanno a fondo riguardo quel che fai, quel che dici. Beh…
Come nasce l’idea de “Le strade di Max” su Deejay TV?
L’anno scorso sono andato in moto a Riccione, a trovare Linus che era lì in trasferta con la radio: lui rimase subito stranito del fatto che avessi fatto tutto l’appenino per arrivare fin lì, salendo lungo la E45. A un certo punto mi fa: “Ma perché sei venuto in motocicletta?“. Ed io: “Perché mi piace“. Sai, io amo legare il lavoro al piacere, quando è possibile. Dovevo andare da Linus? Volevo farlo, godendomi il viaggio, tutto qui. Dopo un mese è arrivata la sua proposta ed è partita l’avventura.
A parte “L’universo tranne noi”, c’è tanta America nel disco, sei d’accordo?
Sono da sempre filo-americano, per la storia, per i miti, non tanto per i valori. E, ormai, anche la comunicazione passa attraverso l’America. Pensiamo alla politica: è parecchio spettacolarizzata, il contenitore vince sul contenuto. La politica ingessata degli anni ’70 e ’80 non esiste più, ormai siamo passati alla classica Convention democratica o repubblicana, con tanto di primarie al seguito. Sta tutto lì il tema del “mio” Presidente: una politica spettacolo, con la mitizzazione del rapporto politici-cittadini: non a caso alla fine abbiamo preso anche le loro percentuali di voto! (ride)
Little Tony: il tuo “Jolly Blu” fu erede della tradizione dei musicarelli!
Certamente si poteva fare molto meglio, c’erano problemi di costi, ma l’idea di base era buona, recuperare lo schema del musicarello poteva essere una validissima occasione. Dopotutto, quelli erano gli anni di una prima crisi della discografia. Passando a Little, credo che i cantanti degli anni ’60 abbiano avuto un peso incredibile: penso ai 45 giri, ai juke box negli stabilimenti balneari, un’Italia straordinaria e sognante che forse non tornerà mai più. Little era un protagonista di quell’epoca, un grande appassionato d’America, autentico…beh, con lui se ne va un pezzo di storia del nostro paese.
In questi giorni finiscono “The Voice” e “Amici”: che opinione hai dei Talent Show?
Queste trasmissioni fanno un bel lavoro di selezione, di proposta, di ricerca di talenti intesi come grandi esecutori. Da lì sono venuti fuori ottimi performer, ma io privilegio la scrittura, la vita raccontata. Per me è più importante il cantautore, ma mi rendo conto di quanto sia poco televisivo. L’immagine dell’artista in “mutande, chitarra e voce” non è quel che si dice una bella immagine!
(foto by Warner Music)