A pochi giorni da un compleanno importante che sancisce l’avvio di una nuova avventura personale, l’ennesimo progetto collettivo, moderno, globalizzante e pluralista (#ConVoi), Claudio Baglioni non può che entrare a far parte del nostro mega cofanetto di storia: “Questo piccolo grande amore” (1972) resta uno dei 100 album più importanti della musica italiana. Una canzone manifesto che doveva restare confinata tra le modeste b-side della discografia di casa nostra e che, invece, ha dato il la a un disco di ottima fattura, pregevole concept album in linea con il mood dell’epoca, ma primo vero (e coraggioso) esempio tricolore. Un brano amato-odiato dal cantautore romano (arrangiato e ri-arrangiato più volte, come si fa con i pantaloni sdruciti) in testa a 15 pezzetti di un mosaico invero molto interessante…
La canzone del secolo (scorso), una serenata in Mi minore che tutti conoscono, quella che fino a qualche tempo fa risultava la più gradita dai fan di Baglioni. Poi sono arrivate altre preferenze (bravo lui a indirizzare il pubblico verso nuove composizioni) e Q.P.G.A. è spesso finita nel più classico medley da concerto. Torniamo al disco. Un disco “concetto”, nel senso che l’idea ruotava attorno a un elemento, una storia (d’amore) con varie ambientazioni, tanti comprimari e due protagonisti. Un passione nata per caso, nei pressi della centralissima Piazza del Popolo: “Finalmente una strada fuori mano e un bar, sono tutto sudato, mi conviene entrar…“.
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Nasce come una vera opera rock, diventa il 9° album più venduto del 1972: registrato in un mese (dal 27 agosto al 30 settembre del 1972) venne pubblicato il mese successivo. Un sentimento nato per caso (per strada), cresciuto in fretta, come tutti gli amori adolescenziali, l’abbandono degli amici, il tradimento della libertà a favore di una sola persona, della persona giusta, almeno in apparenza. La perfetta descrizione della “prima volta” è quanto mai vissuta, vera, sensuale al primissimo ascolto, snodo ideale di un racconto molto intimo…
Musicalmente l’album sarà ricordato per un’altra bellissima serenata in Mi minore, quella del Tevere “che andava lento lento” e del “valzer pazzo cominciato un po’ per caso“. Con tutto l’amore che posso, un canto disperato di un uomo innamorato, uno stornello di quartiere di rara bellezza estetica, pochi accordi per una ballad di spessore. Uno di quei pezzi che non manca mai ai concerti di Claudio e che, a differenza di altri, non è mai stato toccato, scomposto, rivestito.
La storia d’amore (storia di vita per il protagonista) vede nero quando arriva la chiamata del servizio di leva e, così, l’entusiasmo cala a poco a poco, la lontananza spezza il legame creato con la fanciulla conosciuta dentro a quel bar e l’epilogo tragicomico (se visto con gli occhi dei giorni nostri) è disegnato da “Porta portese“, dove Claudio becca la sua bella in compagnia di un altro tipo. Era tornato a casa felice di incontrarla e invece…: “Fiore de sale, d’amore nun se more, ma se sta male…”
(foto by facebook)