Dalia Gaber era una bellissima bambina, lo testimonia la famosa foto in cui ride festosa sulle spalle del padre. Grande professionista oggi al timone della nota Goigest, agenzia di comunicazione che segue personaggi come Laura Pausini, Claudio Baglioni e Gianni Morandi. L’idea di organizzare un Festival di quella portata dev’essere stato un lampo di genio, facile è omaggiare e commemorare chi non c’è più e chi ha fatto cose “inumane” nella propria vita di artista, difficile è dare un seguito a eventi del genere. La stessa Fondazione Giorgio Gaber dà vita a iniziative speciali, trasversali, non si ferma in superficie: e così vola da incontri nelle scuole (“abbiamo sempre avuto chiaro il concetto di divulgazione, restando meravigliati dall’attenzione dei ragazzi verso le storie di mio papà“) a robe più pompose e luccicanti (vedi l’ultimo disco-tributo Io ci sono). L’avevo conosciuta un paio d’anni fa, la ritrovo fortissima: da una parte il piglio, l’autorevolezza, il decisionismo (elementi tipici dei grandi manager di un tempo) e dall’altra la tenerezza, la sensibilità e la dolcezza generosa, qualità più propriamente femminili. Dalia Gaberscik, dicono, ha la voce della mamma (Ombretta Colli, ndr), per il resto sembra essere tutta suo padre.
“Una donna che a dispetto degli uomini diffida di quelle cose bianche che sono le stelle e le lune una donna cui non piace la fedeltà del cane (…). Una donna che non conosce quella stupida emozione più o meno vanitosa una donna che nei salotti non fa la spiritosa…”
“Io ci sono”: quali soddisfazioni porta oggi a un po’ di tempo dalla sua uscita…?
Grazie alla generosità degli oltre 50 artisti che hanno cantato i brani di papà, abbiamo catturato un pubblico nuovo che per ragioni anagrafiche non era riuscito a vederlo e a conoscere tutto il suo repertorio. Dalla Pausini a Jovanotti, da Fossati ai Negramaro. Tutti straordinari…
Perché non un semplice omaggio a tuo padre, ma un Festival vero e proprio? Come venne l’idea?
Il concetto di divulgazione, ecco tutto. Il teatro è stato fondamentale nella sua carriera, così come l’aveva impostato negli anni ’70 con Mina. Papà faceva 200 serate l’anno, se fai i conti sono 400.000 persone che lo seguivano dal vivo, numeri impressionanti! Io volevo portare questo messaggio alla gente, in maniera trasversale, ad un pubblico “teatrale”, per così dire. Da tutto questo passiamo pure alle iniziative nelle scuole. Nelle Aule Magna dei licei arriviamo a far conoscere la sua figura: dapprima dicono “salto un’ora di biologia!”. Invece poi si appassionano, i giovanissimi non sono solo smartphone e playstation, sono molto di più…
…e la scuola “Giorgio Gaber” a Catanzaro?
Sensazione magica! Il fatto stesso che uno possa andare alla scuola Gaber, a far lezione dentro un istituto intitolato a un personaggio conosciuto, contemporaneo, è una cosa importante. Pensa, io andavo alla “Tito Speri“, ma all’epoca non sapevo neanche chi fosse. Sono felice di questa cosa, davvero. Il fatto che tu sia di quelle parti è una dolce casualità.
Tre nomi da Festival: aggettivi e ricordi per Baglioni, Mengoni e Iacchetti…
Claudio ha mostrato una sensibilità inaspettata, non sapevo che mio padre fosse stato un riferimento per lui: con “Le strade di notte” ho capito quanto abbia poi influenzato le sue scelte artistiche, la sua musica, quel grandissimo artista che col tempo è diventato. Non dimenticare che tutta questa disponibilità da parte di quelli come lui non è assolutamente scontata: ci si confronta con dei testi che possono anche corrispondere, ma il repertorio è talmente vasto che si trova sempre qualcosa che sia nelle proprie corde. Enzo era legato con affetto al lavoro di mio padre, lo ignoravo: è stato conduttore per otto anni del nostro Festival, oltre ad aver dedicato un intero disco a mio papà. Marco è stato magnifico, direi sorprendente nell’interpretazione di “Destra sinistra”. Ho apprezzato tanto lui, quanto i suoi fan, che ormai popolano abitualmente le pagine web e i nostri social. Ci hanno chiesto come e dove trovare i dischi e tutta la letteratura di papà…
Patti Smith: chi accanto a lei avrebbe potuto ben figurare nella compilation tributo?
Bob Dylan, lo stesso Cohen. Anche se devo ammettere che l’approccio col mondo di Patti Smith è stato effettivamente sconvolgente: adesso mi viene difficile pensare ad altri. Stupita dalla sua disponibilità, ha fatto tutto senza prendere un quattrino, è venuta da Fazio, ha lavorato moltissimo al suo pezzo (I As A Person), mi ha lasciato senza parole, un esempio incredibile.
Cosa ascolti con piacere come musica?
Vado matta per i Beatles. Ti confesso che ho un piccolo rimpianto: nel 2003 lavorai al concerto di Paul McCartney al Colosseo, sfortunatamente mio papà era già morto… Un grandissimo dispiacere quello di non potergli raccontare quell’esperienza magnifica, unica. Il concerto si tenne a maggio, papà morì 5 mesi prima: questa cosa non mi è mai andata giù…
Abbiamo dedicato la terza puntata di di Disc-History a Far finta di essere sani: Bertoncelli disse che la parte musicale era trascurata… Tu che dici?
Teniamo presente che quello era forse il primo spettacolo teatrale di grande soddisfazione, erano anni pionieristici in cui i teatri non erano gremiti come sarebbe stato dal ’73 in avanti… Un po’ si tralasciava la parte musicale: col tempo si andò “migliorando”, anche grazie a Battiato (Polli d’allevamento). Bertoncelli non aveva completamente torto, forse l’interesse maggiore di quel disco era spostato altrove…
Non ho capito le critiche di certa stampa a Gigi D’Alessio, uno degli ultimi a omaggiare tuo padre: mi dici la tua se ti va?
Come ti ho detto prima, noi siamo convinti che la divulgazione passi dall’essere molto diverso, non dagli esseri uguali. Dieci anni di Festival sono stati fatti anche grazie a quelli come D’Alessio: non saremmo durati tanto solo con Guccini, Fossati, Vecchioni e De Gregori. Sapevamo sin dall’inizio dove andare e se siamo arrivati a questo punto, un motivo ci sarà. Sono certo che in altra maniera non avrei intercettato un altro tipo di pubblico, come ad esempio quello di Mengoni.
Il caso di Alessandro e Maria: Mariangela Melato… Come si trovarono lei e tuo papà?
Ero veramente piccolissima, 13 o 14 anni. Papà si era divertito molto, aveva condiviso il palco con una grande attrice, esperienza fortunata, opportunità importante. Ho avuto la sensazione di una grande piacevolezza. La passione e la possibilità di sondare e perlustrare il terreno della prosa nasce lì: prima Parlami d’amore Mariù, poi Il grigio. Papà aveva una bella dose di pregiudizi contro: il passaggio dall’essere una star televisiva a protagonista del palcoscenico. Considera che nei ’70 era più famoso di quanto lo sia oggi uno come Fiorello! Capisci bene… In quella fase lì soffriva che gli riconoscessero un’autorevolezza attoriale che col tempo si è conquistato.
Il dilemma è la mia canzone preferita: so che è banale, ma ti tocca…la tua qual è?
Sono molto legata a quelle che mi cantava quand’ero piccina… Goganga mi faceva molto ridere, dico la verità. Un’altra poco conosciuta è devastante, da mazzate nello stomaco. L’impotenza è un piccolo capolavoro: a tal proposito, visto che proprio questa è presente nel disco che prima hai citato tu, avrei da ridire qualcosa nei riguardi di Bertoncelli… Testo e musica brillantissimi.
Mina o Celentano per il decennale del Festival?
Guarda, loro due hanno già fatto tanto dandoci i brani per il disco, un bellissimo regalo, segno di un’amicizia che evidentemente non si è interrotta. Questo per il Festival è sicuramente l’ultimo anno: poi cambierà forma, sarà un’edizione speciale, con tante serate, dovremmo certamente allungarlo un po’. Questo te lo dico con certezza.
(foto by kikapress.com)