A volte capita che ascoltando questo o quell’artista (definizione volutamente colloquiale!) si arrivi a fare dei collegamenti tra storia completamente diverse tra loro. Sovente capita quando a coincidere sono il genere e, soprattutto, l’arrangiamento di un pezzo. Ad esempio c’è chi dice che Vasco sia stato lo Springsteen italiano, oppure che Lucio Battisti abbia rappresentato la controfigura di Bob Dylan. Alziamo il livello, dal punto di vista squisitamente musicale e pensiamo alla svolta rock dei Matia Bazar (“Berlino, Parigi, Londra”, 1981), molto affini alle sonorità dei Kraftwerk. Quel che più ci interessa, tuttavia, è il legame – fortissimo – tra i leggendari Beatles e l’Equipe 84…
Quello che in Inghilterra furono i Beatles fu, allo stesso modo, il quartetto modenese in Italia. Non è esagerato dirlo: l’Equipe 84 costituì una formazione in grado di valicare di gran lunga i confini internazionali, fino a crearsi un seguito in paesi come Spagna, Francia, Portogallo, Usa e Inghilterra. Pensare che proprio i Beatles (1966, Radio Rai) li definirono “la band italiana più in linea con i tempi” (John Lennon).
L’arrangiamento di un brano come “Nel cuore, nell’anima” non può non aver subito l’influenza di “Eleanor Rigby” dei Beatles. Una semplice facciata B del 1966 (la A-Side era Yellow Subamrine). L’Equipe 84 (il suo leader, in particolare) era solita ascoltare le produzioni estere, per carpire soluzioni tecniche nuove, per trovare una strada sulla quale sperimentare.
Vandelli elimina le chitarre e utilizza per l’arrangiamento una sezione d’archi, con il supporto ritmico dei soli basso e batteria. Un crescendo strumentale che introduce direttamente al ritornello: il risultato è stupefacente, nasce così il primo pezzo italiano di rock sinfonico.
Vi diamo un suggerimento: violentate il vostro udito, provate ad ascoltare i due brani simultaneamente, uno sopra l’altro, anche solo per 10 secondi. Vi sembrerà un pezzo unico, in tutti i sensi. Ma questa volta il plagio non c’entra. Si tratta di stile, nient’altro.